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Sarebbero dovuti scendere in piazza il 26 marzo i lavoratori del gioco legale, delle sale bingo, delle case da gioco, delle sale scommesse e delle gaming hall: circa 150.000 addetti in tutta Italia. Una popolazione dimenticata, arenata in ammortizzatore da un anno, vittima della demonizzazione che ha colpito tutto il settore con la stessa rapidità con cui, soltanto qualche anno prima, vi si era investito.
Dal 2015 i luoghi in cui giocare si sono moltiplicati, fino a quando i dati sulla ludopatia hanno fermato politica e istituzioni e innescato la marcia indietro.
“Ma la politica, invece di assumersi la responsabilità di quello che era stato fatto e cercare di affrontare il problema con tutte le sue sfaccettature, a partire dal fatto che dentro quei luoghi ci sono delle persone che lavorano – spiega Luca De Zolt, Filcams Cgil nazionale – ha scelto di criminalizzare in maniera indiscriminata il settore, da una parte aumentando la tassazione per gli esercenti e i distributori e dall'altra introducendo una serie di regolamentazioni per limitare e chiudere sale e punti gioco. Nella maniera scellerata in cui aveva fatto le aperture, ha poi operato le chiusure”.
Il gioco pubblico è frutto di un percorso di legalizzazione che lo ha sottratto alla criminalità e alle mafie e lo ha trasferito su un terreno controllato, dove ora non è più il benvenuto. Di chiusure si è cominciato a parlare prima della pandemia e alcune legislazioni regionali si sono mosse da tempo in quella direzione. Come è accaduto in Piemonte dove, senza alcun confronto con le parti sociali, la Regione è andata oltre un’azione di contenimento delle nuove aperture, prevedendo la chiusura di tutti i locali che si trovano in prossimità di punti sensibili: luoghi di culto, scuole e bancomat sono solo alcuni degli spazi individuati che, tutti insieme, stringono in un fitto intreccio praticamente tutte le attività di gioco della città. In altre regioni le concessioni in scadenza non vengono più rinnovate.
“Il piano delle legislazioni territoriali si va a intersecare con quello delle restrizioni portate dalla pandemia – continua De Zolt – che ha introdotto comunque un trattamento discriminatorio, lasciando sale gioco, scommesse e bingo chiusi fino a giugno, mentre le altre attività dove il rischio di contagio era più alto avevano riaperto”.
Il sindacato ha messo a punto con le controparti protocolli accurati di sicurezza, che prevedono provvedimenti ancora più stringenti di quelli previsti dalla normativa, e che sono stati ignorati. “Abbiamo notizie non ufficiali che il Comitato tecnico scientifico ha avuto indicazione di non affrontare nemmeno il tema della riapertura di questi esercizi”, aggiunge il sindacalista. Neanche il nuovo protocollo definito a ottobre ha ricevuto riscontri e dopo l’unica apertura, nei mesi estivi, il settore è stato abbandonato. Quando la Sardegna è stata dichiarata zona bianca le attività di gioco sono rimaste chiuse.
“C’è molta preoccupazione perché un anno di chiusura è pesante, non sappiamo che effetti avrà sul settore – dice Danilo Lelli, che per la Filcams Cgil segue il comparto delle Gaming Hall –. Le aziende poi stanno utilizzando molto le piattaforme online e bisogna capire che effetto avrà sulla riapertura delle sale fisiche sul territorio e sui livelli occupazionali”.
Accantonate le manifestazioni, la mobilitazione del 26 si è spostata online, con una grande assemblea nazionale unitaria che si prepara a raccogliere centinaia di lavoratori e che sarà seguita da una conferenza stampa.
È la prima volta che viene organizzato un incontro così esteso con un mondo professionale parcellizzato, fatto di grandi aziende dove il sindacato è più presente, ma anche di tante piccole realtà che conosce meno. “Sarà l’occasione per prendere contatto con i lavoratori in modo più profondo” aggiunge Lelli. “Questo è un settore che muove numeri importanti e che finanzia lo Stato, i lavoratori sono impiegati grazie a concessioni statali e non è giusto far loro carico della responsabilità dei danni procurati dal gioco. Sappiamo bene che senza una regolamentazione le persone non smettono di giocare, con le sale chiuse si sta giocando nei sottoscala. Troviamo regole più restrittive, valutiamo bene le aziende prima di dare le licenze, ma non chiudiamo tutto”, conclude Lelli.