PHOTO
Non solo poveri pur lavorando. Ma, anche, più poveri anche se magari nominalmente lo stipendio è aumentato: si chiama fiscal drag, quel drenaggio fiscale che, con l’inflazione, alleggerisce le tasche delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Non è una novità. La novità è che i suoi effetti sulle buste paga peggiorano con la riforma fiscale del governo Meloni licenziata con l’ultima legge di bilancio.
Più tasse per i lavoratori dipendenti
La denuncia arriva da una fonte insospettabile: l’Ufficio parlamentare di bilancio che oggi (11 giugno) ha presentato il suo rapporto che mostra in maniera inequivocabile come la riduzione delle aliquote Irpef (con l’accorpamento dei primi due scaglioni) insieme alla stabilizzazione della riduzione del cuneo fiscale trasformato però in un mix di bonus e detrazioni (prima il taglio era contributivo) ha reso i salari più vulnerabili all’inflazione. Si tratta di un effetto paradossale di cui però, quando si fanno le norme, occorre tener conto.
In sostanza, “con la progressività è aumentato anche l’effetto di drenaggio fiscale”, ha spiegato la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) Lilia Cavallari e “l’aumento si concentra prevalentemente sui lavoratori dipendenti”. Una vera e propria contraddizione, se si pensa che uno dei mantra dell’esecutivo è, da quando si è insediato, la (presunta) volontà di tagliare le tasse al ceto medio. Interessante il fatto che nella stessa giornata di oggi, quando il rapporto veniva presentato, Giorgia Meloni ha ribadito in un messaggio inviato all’assemblea di Confcommercio che il suo obiettivo è quello di abbassare le tasse, appunto, al ceto medio.
Ferrari, Cgil: lo denunciamo da tempo
Nessuna sorpresa in casa Cgil: “L’Ufficio parlamentare di bilancio conferma quanto denunciamo da tempo: il prelievo fiscale su lavoratrici e lavoratori dipendenti, anziché diminuire, cresce notevolmente. Chi vive di reddito fisso, quindi, non solo non ha recuperato la perdita del potere d’acquisto causata dall’alta inflazione cumulata negli ultimi anni, ma paga di più al fisco”, commenta il segretario confederale di corso d’Italia, Christian Ferrari.
E questo, continua il sindacalista, “dipende sia dal meccanismo scelto dal governo per fiscalizzare il cuneo contributivo, che ha ridotto il netto in busta paga di gran parte dei lavoratori, sia dalla mancata restituzione del drenaggio fiscale, che era una precisa richiesta della Cgil rivolta all’esecutivo”.
L’Upb ha realizzato anche una simulazione: considerando un’inflazione di 2 punti percentuali, rispetto al 2022 il sistema attuale porta 370 milioni di tasse in più (+13%) solo per effetto di fiscal drag. Un aumento che va, appunto, tutto sull’Irpef che, come è noto, è pagata per il 90% dai lavoratori dipendenti e dai pensionati e per il 63% da lavoratori dipendenti con redditi da 35.000 euro in su, e cioè solo il 13,90% del totale.
Governo bocciato
Dall’Upb arriva in sostanza una vera e propria bocciatura per l’operato del governo. Quando si vuole davvero migliorare la condizione di chi percepisce redditi bassi "se questo è realizzato attraverso il sistema fiscale piuttosto che mediante strumenti dal lato della spesa, occorre prestare particolare attenzione al loro disegno e alle conseguenze che ne derivano”, si legge nel rapporto. E ancora: “Interventi come quelli introdotti con la legge di bilancio per il 2025 aumentano la progressività dell'Irpef e accrescono la sua sensibilità al drenaggio fiscale. A lungo andare in assenza di un'indicizzazione dei parametri, l'effetto combinato dell'inflazione e della maggiore progressività dell'imposta tende a erodere i benefici che si intendevano apportare con le misure di sostegno al reddito, rendendole progressivamente meno efficaci".
I numeri del fiscal drag
Le stime sono note: nel 2024 i lavoratori dipendenti hanno subito un drenaggio fiscale di circa 18 miliardi, a cui vanno aggiunti gli oltre 7 miliardi pagati da pensionate e pensionati. “Per gli altri, invece – attacca Ferrari –: flat tax, condoni, concordati preventivi e ogni strumento possibile e immaginabile per consentirgli di continuare a evadere, indisturbati, le imposte”. D’altra parte, “nel 2025 i recenti aumenti contrattuali stanno già subendo una decurtazione significativa a causa del combinato disposto della fiscalizzazione del cuneo e dell’accorpamento delle aliquote Irpef”.
Conclude il dirigente Cgil: “Senza il rilancio della domanda interna – a partire dal rinnovo di tutti i contratti nazionali, dalla detassazione dei relativi incrementi e dall’indicizzazione all’inflazione delle detrazioni da lavoro e da pensione – l’intera economia nazionale non potrà mai crescere in maniera stabile e strutturale”.