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Un terzo dei dipendenti: 31 su 91. Sono gli addetti che verranno licenziati dalla Esso Oli Lubrificanti di Vado Ligure (Savona). A questi se ne aggiungono una decina della sede di Milano. Immediata la protesta dei lavoratori, che venerdì 3 ottobre hanno organizzato uno sciopero di otto ore, con corteo e presidio davanti ai cancelli della raffineria.
Una decisione inattesa, quella comunicata il 30 settembre dalla società del gruppo ExxonMobil, che rischia di travolgere il comparto portuale e industriale dell’area. Per oggi (martedì 7 ottobre) è previsto il primo incontro tra azienda e sindacati, che chiedono il ritiro dei licenziamenti e l’apertura di un tavolo di confronto che coinvolga anche le istituzioni locali.
Sindacati: “Anni di introiti miliardi, ora i licenziamenti”
“Queste multinazionali decidono in posti lontani dai siti produttivi e portano le loro scelte sul territorio”, spiegano Filctem Cgil, Ferma Cisl e Uiltec Uil alla stampa locale: “Nel 2020 ci fu già una riorganizzazione che ci venne presentata come una manovra per dare solidità a chi restava. Invece ci troviamo con un terzo dei lavoratori che saranno licenziati, con le loro famiglie che finiranno senza un sostentamento”.
I licenziamenti dovrebbero riguardare il settore impiegatizio (logistica, magazzini, spedizioni) e non la produzione. I sindacati evidenziano che il motivo è la delocalizzazione: “La situazione è grave. Per anni ci hanno promesso investimenti, ci hanno assicurato un futuro. E invece, da un momento all’altro, hanno deciso di spostare le attività di servizio in Paesi dove il lavoro costa meno, come a Praga, Budapest o in India”.
Le tre sigle rilevano che “da anni Esso continua a fare cessioni di rami d’azienda. Dopo anni di introiti miliardari, non ci hanno messo un attimo a formalizzare i licenziamenti. Che avranno un impatto sociale enorme, coinvolgendo anche l’indotto e l’economia di un territorio che, a livello industriale, sta diventando un deserto”.
Filctem, Femca e Uiltec così concludono: “Quest’azienda ormai non la riconosciamo più. È arrivata una doccia fredda, senza alcun dialogo e nessuna percezione di una situazione di questa natura. Il primo problema sono ovviamente gli esuberi. Ma siamo anche preoccupati per il futuro perché temiamo che, indebolendo la parte intorno alla produzione, l’impianto poi non ce la faccia a stare in piedi”.






















