Accordo fatto. Parlamento e consiglio dell’Unione europea hanno trovato un’intesa sulla futura direttiva comunitaria sul lavoro nelle piattaforme digitali, che dovrebbe rafforzare nei 27 Paesi le tutele dei rider e degli operatori della cosiddetta gig economy, liberi professionisti precari e sottopagati le cui figure si sono moltiplicate negli anni.

Lo status dei lavoratori

I negoziati si erano incagliati sul nodo principale della normativa: lo status dei lavoratori, cioè il loro inquadramento contrattuale. Il nuovo testo è un compromesso: lascia ai singoli Stati la possibilità di decidere quando considerarli autonomi o dipendenti, anche se l’onere della prova spetterà sempre alle aziende.

Sebbene ci sia consenso, comunque, non è ancora detta l’ultima parola, che spetta al voto previsto per venerdì prossimo, 16 febbraio, sul quale nessuno se la sente di sbilanciarsi. Ad approvarla dovranno essere il consiglio dei capi di Stato e di governo e il parlamento europeo, ma pesano le perplessità e le contrarietà di Francia e Germania, e anche l’Italia non si sa come si pronuncerà.

Passo in avanti

“L’accordo raggiunto è positivo perché non fotografa lo status quo ma fa un passo in avanti sul fronte delle tutele dei lavoratori su piattaforma digitale e dota l’Unione di un quadro normativo finora inesistente – afferma Nicola Marongiu, responsabile dell’area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -. Si tratta di una proposta intermedia tra due posizioni, quella più favorevole sostenuta dalla presidenza spagnola e quella peggiorativa perorata dalla Repubblica Ceca. Se il testo verrà accolto, sarà competenza dello Stato membro definire le procedure per il riconoscimento della presunzione legale di lavoro subordinato quando sussiste potere di direzione da parte della piattaforma. E se, come nel caso dei rider, l’azienda definisce il percorso, attribuisce un punteggio, decide la prenotazione degli slot, allora esercita un controllo sull’attività lavorativa. Quindi quel lavoratore non può essere considerato autonomo”.

Subordinato oppure no?

Che cosa prevede esattamente l’accordo? Il punto principale riguarda la subordinazione del lavoratore. Secondo la Working Platform Directive, se verrà approvata, il rapporto si presumerà di natura subordinata se saranno presenti alcuni specifici indicatori, elementi che assoggettano il lavoratore al potere direttivo e organizzativo dell’impresa.

La bozza precedente prevedeva che il lavoratore doveva essere riconosciuto come dipendente se fossero stati presenti due indicatori su cinque: uso di abbigliamento aziendale, turni prestabiliti, remunerazione fissa, controllo dell’attività, valutazione del rendimento anche tramite app. Questo meccanismo nel nuovo testo è scomparso.

Obbligo per gli Stati

Inoltre, non ci sarà un criterio armonizzato tra gli Stati membri, ma è previsto un obbligo per i governi nazionali di stabilire quella che viene definita “una presunzione legale relativa dell’occupazione a livello nazionale, secondo il diritto e i contratti collettivi in vigore”, tenendo anche conto della giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Quindi ogni Stato avrà maggiori prerogative di normare la materia e più autonomia nel fissare i paletti, in modo da bilanciare lo squilibrio di forza esistente tra la piattaforma e i collaboratori.

Inversione dell’onere

Confermato poi il principio dell’inversione dell’onere della prova. Quando scatterà la presunzione legale di subordinazione, a seguito di un’ispezione o su richiesta del lavoratore, non sarà quest’ultimo a doverlo dimostrare: spetterà alla piattaforma provare che il suo collaboratore svolge attività autonoma e non subordinata.

Limitare lo strapotere

Altro punto importante raggiunto con il nuovo accordo, la limitazione del potere, anzi dello strapotere decisionale dell’algoritmo sulla vita delle persone. Decisioni determinanti come l’allontanamento o il licenziamento del lavoratore non potranno essere assunte dall’algoritmo, ma dovrà sempre essere garantita la supervisione umana.

Tutela dei dati

Più protezione anche sul versante della tutela della privacy. Le piattaforme non potranno trattare alcune categorie di dati, dalle opinioni personali ai rapporti con i colleghi, e dovranno assicurare la massima trasparenza verso i lavoratori e le organizzazioni sindacali sul funzionamento degli algoritmi e sull’impatto dei comportanti dei lavoratori sulle decisioni prese dai sistemi informatici.

Manca poco per garantire più diritti a un esercito di 28 milioni di occupati al 2021 (secondo le rilevazioni della Commissione), che diventeranno 43 milioni entro il 2025, di cui 5,5 milioni andrebbero classificati come dipendenti dalle oltre 500 piattaforme, e non come autonomi. L’ultimo step è il voto finale alla direttiva, passaggio legislativo in extremis prima delle elezioni europee del prossimo giugno.