L’accordo non c’è stato, tutto è rimandato alla settimana prossima. Questo l’esito dell’incontro di oggi (martedì 17 marzo) a Roma, in videoconferenza con il ministero del Lavoro, sulla richiesta di Alitalia di una nuova procedura di cassa integrazione straordinaria per complessivi 3.960 dipendenti. “Nelle attuali condizioni è impossibile firmarla”, spiega Fabrizio Cuscito, segretario nazionale della Filt Cgil e responsabile del trasporto aereo: “Innanzitutto perché, nonostante le continue promesse da parte dei ministeri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture, purtroppo non c’è alcuna certezza sul futuro della compagnia di bandiera e sulle risorse che saranno messe a disposizione per garantirne la ripresa in questo contesto di crisi e per tutelarne i livelli occupazionali”.

La seconda motivazione della fumata nera di oggi è il mancato finanziamento del Fondo di solidarietà del trasporto aereo. “Non sappiamo quante risorse verranno messe a disposizione”, prosegue Cuscito, ma soprattutto “chiediamo un intervento strutturale e non una tantum, perché su questo Fondo si riverserà la crisi dell’intero trasporto aereo, dalle aviolinee alle aziende di handling, gestione aeroportuale e catering, quindi una platea molto ampia. Se il Fondo non avrà una sua strutturalità, le risorse saranno insufficienti a tamponare la profonda crisi del settore”.

La richiesta di Alitalia è di altri sette mesi di cigs per 3.960 dipendenti, dal 24 marzo al 31 ottobre: agli attuali 1.175 lavoratori (di cui 70 comandanti, 95 piloti, 340 assistenti di volo e 670 personale di terra), andrebbero ad aggiungersene altri 2.785 per l'emergenza epidemiologica (143 comandanti, 182 piloti, 780 assistenti di volo e 1.680 personale di terra). “I numeri, nonostante la crisi da Coronavirus, ci sembrano eccessivi”, argomenta il segretario nazionale Filt: “In questo momento Alitalia è l’unica azienda che sta continuando a operare a garanzia dei nostri concittadini, effettuando una serie di attività di recupero di cittadini bloccati all'estero, tra l’altro è anche l’unica che può ancora andare negli Stati Uniti. Sta svolgendo una funzione di servizio pubblico essenziale, quindi la richiesta ci appare davvero immotivata”.

La seconda grande novità riguardante Alitalia è l’avvio del percorso di nazionalizzazione mediante la creazione di una newco pubblica. Il decreto “Cura Italia”, varato dal governo lunedì 16 per fronteggiare l’emergenza Covid-19, dedica un articolo specifico alle misure urgenti per il trasporto aereo, prevedendo per le compagnie misure di compensazione dei danni subiti per il Coronavirus e la costituzione di “una nuova società interamente controllata dal ministero dell’Economia o da una società a prevalente partecipazione pubblica, anche indiretta”. Di fatto un ritorno di Alitalia nelle mani dello Stato, dopo quasi tre anni di amministrazione straordinaria e diversi falliti tentativi di privatizzazione.

“Quanto emerge da questa crisi evidenzia che ogni Stato che voglia contare a livello mondiale deve avere una compagnia nazionale di bandiera che possa controllare”, dice l’esponente sindacale, sottolineando che “in casi come questi si svolge una funzione sociale di mobilità, funzione che i privati non possono assicurare”. Il segretario nazionale rileva che “tutte le compagnie straniere private, tanto osannate dal mercato, nel giro di una settimana sono sparite. Ryanair ed Easyjet hanno deciso di chiudere tutti i loro voli in Italia e sono andate via. Se non avessimo una compagnia di bandiera come Alitalia, che tra l’altro sta effettuando anche molti voli in diretta connessione con il ministero degli Esteri per la protezione dei nostri concittadini, di fatto saremmo isolati dal resto del mondo”.

Per la Filt Cgil, dunque, quella che si prospetta è “un’operazione necessaria”. E non solo per le ragioni fin qui descritte, ma anche perché è un buon investimento. “Negli anni il trasporto aereo ha continuato a crescere con ritmi incredibili, fino a un mese fa in Italia rappresentava il 3,6 per cento del Pil”, aggiunge il segretario nazionale Filt: “Quando finirà la crisi da Coronavirus il settore ricomincerà a crescere. Occorre investire adesso, soprattutto ora che le compagnie private e le multinazionali low cost stanno scomparendo, è proprio questo il momento di prendersi fette di mercato”.

La misura contenuta nel “Cura Italia” non ferma però la procedura di vendita avviata dal commissario straordinario Giuseppe Leogrande e dal direttore generale Gianfranco Zeni (assistiti da Rotschild e dallo studio legale Gianni Origoni Grippo Cappelli e partners). Il decreto, infatti, autorizza il commissario straordinario a “porre in essere ogni atto necessario o conseguente nelle more dell'espletamento della procedura di cessione” e fino “all'effettivo trasferimento dei medesimi complessi aziendali all'aggiudicatario della procedura di cessione”. Procedura per la quale è imminente la scadenza (mercoledì 18) per le manifestazioni di interesse.

Il bando prevede anche la possibilità del cosiddetto “spezzatino” della società, ossia la vendita della compagnia per singoli rami d’azienda (che sono tre: handling, manutenzione e trasporto aereo). Ma l’asta potrebbe andare deserta (finora l’unico a manifestare interesse è stato l'imprenditore sudamericano German Efromovich), soprattutto in questa fase di recessione: l’idea che si sta facendo strada, dunque, è quella di trasferire in affitto alla newco il ramo del trasporto aereo, ma dopo averlo “efficientato” con tagli di costi e di personale. I rami di handling e manutenzione, invece, resterebbero in una “bad company” in mano al commissario Leogrande.

“Il bando è stato fatto dal commissario e rispetta dei requisiti di carattere formale. Ma la vera questione è capire la volontà politica di concludere davvero l’operazione Alitalia”, chiarisce Cuscito: “In questi anni di bandi ce ne sono stati tanti, e tutti si possono superare se c’è volontà politica. Il bando lascia aperte tante soluzioni, bisogna capire quella che il governo intende percorrere”. Per la Filt, conclude il segretario nazionale, la soluzione è quella di “mettere mano al rilancio della compagnia di bandiera come blocco unico, senza quindi lo ‘spezzatino’, con un controllo da parte dello Stato che garantisca la funzione di servizio pubblico essenziale”.

L’ultimo tema che riguarda Alitalia coinvolge l’Unione Europea. Venerdì 28 febbraio la Commissione ha aperto un’indagine sul nuovo prestito-ponte di 400 milioni di euro concesso nel dicembre scorso dal governo all'aviolinea con un decreto legge (poi convertito in legge dal Parlamento nel gennaio di quest'anno), allo scopo di razionalizzare la compagnia in vista della cessione. Indagine che si affianca a un’analoga procedura avviata nell'aprile 2018 dall'Unione per il primo prestito-ponte di 900 milioni di euro, procedura tuttora in corso e condotta separatamente da quest’ultima per il prestito del 2018. Obiettivo dell’approfondimento da parte della Commissione è appurare se il prestito-ponte costituisca o meno un aiuto di Stato. Da Bruxelles spiegano che si tratta di una “procedura standard” e che Commissione e governo italiano stanno lavorando a “stretto contatto” sulla questione. Ma è l’ennesima tegola che cade sulla testa di un’azienda in cronica difficoltà e dal maggio 2017 (quindi sono quasi tre anni) in amministrazione straordinaria.