Nell’aprile del 1969 a Battipaglia giunge la notizia dell’imminente chiusura di due grosse aziende della città: la manifattura dei tabacchi e lo zuccherificio. Per il 9 aprile viene indetto un corteo di protesta. Già dalle prime ore del giorno, alcune centinaia di persone si radunano e, scortati da polizia e carabinieri, cominciano a muoversi in corteo al grido di ‘Difendiamo il nostro pane’ e ‘Basta con le promesse’.

Nel tardo pomeriggio si arriva allo scontro decisivo: il corteo incanala la propria rabbia contro il commissariato di via Gramsci, dentro cui si sono asserragliati un centinaio di poliziotti e carabinieri che iniziano a sparare sulla folla, uccidendo Teresa Ricciardi, giovane insegnante che seguiva gli scontri dalla finestra della propria abitazione, e lo studente diciannovenne Carmine Citro. Moltissimi i feriti. L’11 aprile, giorno dei funerali delle vittime, l’Italia si ferma.

“Onorevoli colleghi - tuonerà l’allora presidente della Camera Sandro Pertini -  sono certo di interpretare il sentimento vostro, se rinnovo da questa tribuna il profondo cordoglio per le vittime dei tragici fatti di Battipaglia, fatti che hanno scosso e turbato la coscienza dell'intera nazione. Ma non basta manifestare la nostra pietà per le vittime e la nostra costernazione per quanto è accaduto. Dalla nostra qualità di rappresentanti del popolo ci deriva un preciso dovere: impedire che fatti simili possano ancora ripetersi (…). Solo pensando ai vivi non sicuri del loro domani possiamo degnamente onorare i morti, povere vittime innocenti”.

Scriveva Rassegna Sindacale il 1° maggio successivo:

Se qualcuno aveva avuto un dubbio che i morti di Avola fossero una tragedia isolata dovuta alla fatalità e non destinata a ripetersi i morti di Battipaglia sono tragicamente venuti a togliere ogni incertezza. Non si muore per caso, non si spara per caso nelle lotte di lavoro, ma per una precisa concezione e un colpevole uso della polizia in servizio di ordine pubblico e specialmente nei conflitti di lavoro. Ai lavoratori che, come nel caso di Battipaglia, chiamati unitariamente dai sindacati a protestare contro la chiusura di uno zuccherificio e ad opporsi al licenziamento delle seicento operaie del tabacchificio, esprimono, e stringono intorno a sé, la protesta e la collera di tutta una città, di tutta una zona per la degradazione economica e sociale cui la condanna una politica; a questi uomini e donne non si è capaci di dare lavoro ma si riesce troppo spesso a trovare le pallottole che ne ammazzano qualcuno, come accadde ad Avola, come accadde a Ceccano. Fra Ceccano e Avola erano passati sei anni, fra Avola e Battipaglia quattro mesi e mezzo. Cresce nel Paese la tensione sociale e cresce il ritmo delle uccisioni. In questa situazione s’impone il disarmo immediato della polizia in servizio di ordine pubblico e particolarmente durante le lotte di lavoro, disarmo già ripetutamente chiesto dalla Cgil. È questo un problema di gravità e urgenza assoluto, al quale non possono, non debbono sfuggire le forze politiche, soprattutto non può e non deve sfuggire il governo, che risponde delle uccisioni come risponde di tutte le aggressioni di cui la polizia si rende continuamente colpevole, come risponde della repressione che colpisce i lavoratori e gli studenti e che è diventata ormai un metodo generale e costante. Per poter, per voler lavorare si rischia ancora, in questa nostra repubblica fondata sul lavoro, di morire ammazzati. E rischiano di morire ammazzati i cittadini che scendono nelle strade a protestare contro le degradanti condizioni di vita che sono costretti, e non vogliono più, sopportare. Questo stato di cose deve finalmente finire. Contro questo stato di cose, contro la violenza incivile e sistematica della polizia le confederazioni sindacali hanno proclamato lo sciopero generale unitario di tre ore che si è svolto l’11 aprile registrando una partecipazione dura e totale. Di questo sciopero, e di tutte le altre azioni sindacali che lo, hanno accompagnato rivelando la volontà dei lavoratori di opporsi con assoluta fermezza alla violenza, ci auguriamo che si sia capito bene, dove lo si deve capire, il significato. Con i due di Battipaglia, sono novanta gli italiani uccisi nel dopoguerra dalla polizia durante conflitti di lavoro e in "operazioni di ordine pubblico". Ora basta davvero.

Ora basta davvero.