Un plauso alle forze dell’ordine per l’operazione di contrasto al fenomeno del caporalato in provincia di Salerno, che ha portato all’adozione di misure cautelari nei confronti di 35 persone. Ma anche un appello alle istituzioni e all’imprenditoria affinché facciano concretamente la loro parte per debellare il fenomeno e favorire chi lavora in modo legale in agricoltura. La Cgil Salerno ha tenuto questa mattina, martedì 19 marzo, una conferenza stampa nella sede di via Francesco Manzo per chiedere di tenere alta l’attenzione sul mondo agricolo in provincia di Salerno. Un mondo pervaso dalla criminalità organizzata, nonostante l’impegno di magistratura e forze dell’ordine.

“Siamo contenti dell’esito di questa operazione, che ha messo in luce anche le denunce fatte in passato dal sindacato sulle truffe legate al decreto flussi. Un plauso – hanno detto in conferenza stampa il segretario generale della Cgil Salerno, Arturo Sessa, la segretaria generale della Flai Cgil Salerno, Giovanna Basile e il presidente dell’assemblea generale della Cgil Salerno, Anselmo Botte – va alle forze dell’ordine, perché non era facile portare avanti un’indagine così complessa senza denunce che aiutassero a ricostruire il percorso truffaldino. Ma – avverte la Cgil Salerno - non ci dobbiamo fermare alla fase repressiva, che da sola non è sufficiente a sconfiggere il fenomeno del caporalato. Le istituzioni, i Comuni, facciano la loro parte perché l’illegalità si combatte tutti insieme. Le aziende che ricorrono ai caporali fanno concorrenza sleale”.

Tra le proposte rilanciate dal sindacato, l’attivazione del collocamento e del trasporto pubblici in agricoltura, in collaborazione con i Comuni e le aziende agricole, insieme all’istituzione di un comitato provinciale contro il caporalato e il lavoro irregolare. “Occorre sinergia tra istituzioni, imprenditori, associazioni datoriali e organizzazioni sindacali – ha ribadito la Cgil Salerno – per contrastare un fenomeno che, anche dalla recente inchiesta, risulta diffuso, ramificato, radicato e pericoloso, pur rappresentando soltanto la punta dell’iceberg”. La Cgil Salerno chiede poi di avviare una riflessione sulla possibilità di utilizzare correttamente i fondi europei attraverso progetti condivisi tesi all’emersione del fenomeno. Secondo il sindacato, sono a disposizione 25 milioni di euro. La Cgil ha poi rilanciato l’idea di “un marchio etico e di qualità per i prodotti agroalimentari della Piana del Sele”. “Istituzioni e aziende sane – hanno concluso Sessa, Basile e Botte - si mettano in gioco per ridare legalità al settore”.

Nel corso della conferenza stampa sono stati illustrati anche i dati di un dossier elaborato da Cgil e Flai sul fenomeno del lavoro nero in agricoltura. Secondo i dati elaborati dal sindacato, la forza lavoro impiegata in agricoltura nella Piana del Sele è costituita in stragrande prevalenza da lavoratori migranti (si calcola che su 27 mila lavoratori agricoli, il 50% dei braccianti sia di origine straniera). Alla sostituzione di manodopera è seguita anche quella dei caporali che oggi sono esclusivamente stranieri. I caporali etnici hanno caratteristiche che li differenziano da quelli nostrani, soppiantati ormai da tempo, perché hanno arricchito il loro bagaglio delinquenziale con un nuovo elemento criminale. Infatti, oltre alla intermediazione di manodopera, al sottosalario, al lavoro nero, al controllo dei ritmi di lavoro, gestiscono anche la fase degli ingressi e sono diventai uno dei punti cardine della tratta di esseri umani. Non tutte le etnie si comportano allo stesso modo in questa attività criminale.

I caporali marocchini si avvalgono del decreto flussi riservato ai lavoratori stagionali emanato ogni anno. In questo caso i caporali sono l'anello di congiunzione tra i migranti che aspirano all'ingresso e le aziende agricole. Per ogni ingresso il costo della tangente si aggira intorno ai 7-10 mila euro. Spesso, se non sempre, i migranti subiscono una vera e propria truffa, in quanto il rapporto di lavoro non si perfeziona e di conseguenza neppure la regolarizzazione, alimentando in questo modo il proliferare dei migranti irregolari.

I lavoratori indiani, pakistani e ucraini si affidano invece a dei leader connazionali che controllano le comunità insediate nel territorio e che si avvalgono, per i nuovi ingressi e relativo permesso di soggiorno, di avvocati e consulenti locali compiacenti. Nel mese di aprile 2015 sono finiti agli arresti domiciliari due avvocati che operano nella Piana del Sele, su disposizione della Procura di Brescia, con l'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina e compravendita di falsi contratti di lavoro. I due si avvalevano anche di un'agenzia di consulenza per stranieri e altri indagati appartenenti alle comunità di origine indiana, pakistana e africana che si prestavano come rappresentanti di connazionali desiderosi di ottenere il permesso di soggiorno.

I lavoratori romeni, pur essendo comunitari e quindi non bisognosi del permesso di soggiorno, sono alla mercé di una rete ramificata di autisti/caporali che promettono, in patria, rapporti di lavoro sicuri nelle fabbriche alimentari, alloggi decenti, e che invece conducono al lavoro nei campi e a risiedere in tuguri veri e propri. Quattro anni fa un intervento dei carabinieri ha dato esecuzione all'arresto di nove indagati per associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione di manodopera. I provvedimenti riguardavano cittadini romeni e italiani.

In tutti i casi, spesso si tratta di falsi rapporti di lavoro e i migranti una volta arrivati restano abbandonati a loro stessi e a caporali senza scrupolo che spesso li privano dei documenti. È qui la loro riduzione in schiavitù: nella difficoltà di liberarsi da questi criminali dopo aver sborsato cifre ingenti. E la riduzione in schiavitù rende sempre più dinamici i caporali. “Fermare la tratta di manodopera – si legge nel dossier della Cgil Salerno – deve rappresentare una delle priorità nel nostro territorio, anche perché alcune aree della Piana del Sele (ad esempio la fascia pineta in località Campolongo) sono diventate terra di nessuno, dove l'illegalità è diffusa e dove lo Stato stenta a marcare la sua presenza. È per questo che la prima proposta operativa è quella di promuovere presso la Prefettura di Salerno una discussione per la formulazione di un protocollo d'intesa contro la tratta di manodopera nei luoghi di lavoro, la prevenzione e il contrasto al fenomeno dello sfruttamento della manodopera italiana e straniera, al quale devono aderire la magistratura, la polizia, gli enti locali e quelli ispettivi”.

Oggi il successo dei caporali sta nel fatto che hanno la capacità di smistare rapidamente la manodopera agricola in una rete ramificata e intricata di aziende agricole. Solo nella Piana del Sele se ne contano a migliaia. Migliaia di aziende che quasi tutte le mattine all'alba hanno esigenze di manodopera diversa per numero e per qualifica. Se un'azienda agricola decidesse di rivolgersi ad una struttura pubblica o privata per un avviamento che ha queste caratteristiche, non troverebbe nessuno in grado di soddisfare tale esigenza. Per questo la Cgil ritiene che sia questo il terreno sul quale sfidare il caporalato: “mettere in campo un'attività legale capace di soddisfare l'intricato mercato del lavoro dell'agricoltura, nella pratica: istituire opportuni dispositivi di assunzione leciti, creando un luogo pubblico, e controllato, dove si incontrino domanda e offerta di lavoro. Togliere il terreno da sotto i piedi ai caporali, altre alternative non ne vediamo – si legge nel dossier Cgil –, superare la debolezza delle istituzioni, liberare la mente da ogni timore e metterci alla testa di un sistema di attività di intermediazione legale, nella speranza di liberare dalla secolare schiavitù il lavoro agricolo”.

Come detto, il trasporto è l'altro elemento che vincola i lavoratori al caporale. Per il sindacato occorre intraprendere percorsi con gli enti locali per individuare idonee politiche per il trasporto pubblico dei lavoratori sui luoghi di lavoro, ad esempio utilizzando le "linee agricole" che in alcune regioni sono già incluse nei piani di bacino per il trasporto pubblico. “Ma ci rendiamo conto che anche il più sofisticato sistema di trasporto pubblico non sarebbe in grado di soddisfare le esigenze del contesto in cui ci muoviamo”, si legge del dossier del sindacato. I termini del problema sono molto semplici: si tratta, nella Piana del Sele, di spostare in 30 minuti, ogni mattina, circa cinquemila lavoratori per smistarli in 300-400 aziende.