Quello che chiedono al governo è un provvedimento strutturale che cancelli le discriminazioni e consenta di continuare a lavorare. Non vogliono altro i 1500 addetti della Portovesme srl, tra dipendenti diretti e in appalto, e i sindacati Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil: trovare un modo per non fermare la fabbrica del Sulcis Iglesiente, e non stare più in cassa integrazione, che è scattata il 28 febbraio. Il sistema ci sarebbe. Basta che i costi dell’energia in Sardegna siano allineati a quelli del resto dell’Italia, non per poco tempo, uno o due anni, ma per sempre.

Questa richiesta la mettono sul tavolo aperto al ministero del Made in Italy con Regione Sardegna, assessorati, azienda, sindacati, categorie. Stiamo parlando di una società che produce piombo, zinco, oro, argento, e che tra due anni dovrebbe riconvertirsi nella produzione di litio per le batterie delle automobili elettriche, prima in Italia.   

“In questo momento le imprese energivore dello stivale hanno sgravi fiscali che la Sardegna non può avere, per evidenti carenze infrastrutturali - spiega Francesco Garau, segretario generale Filctem Cgil Sardegna -. Il problema della Portovesme è proprio questo. C’è una fermata in corso per la linea piombo anticipata di due anni rispetto ai piani aziendali: noi dobbiamo avere tutti i lavoratori in fabbrica ed evitare che ci sia la spada di Damocle degli ammortizzatori sociali”.