“Milano, laboratorio di diseguaglianze”. Se dovessimo isolare una frase pronunciata al congresso della Cgil di Milano, sceglierla come didascalia dell’attualità e monito per l’azione sindacale, sarebbe questa. A dirla dal palco con sincerità e voglia di ribaltare il mondo è stato il riconfermato segretario generale Massimo Bonini, ormai veterano, a poco più di 11 mesi dalla scadenza del secondo mandato come leader del Quadrato rosso nel capoluogo lombardo. “Questa città rischia di diventare una città popolata da pochi lavoratori ricchi circondati da lavoratori poveri”.

È tutta in queste parole la sfida che la Cgil combatte già da tempo lungo la frontiera del lavoro. In un territorio dove da 3 o 4 anni, ben prima che arrivasse l’emergenza sanitaria, i due terzi dei nuovi contratti sono a termine, precari. “A Milano abbiamo visto tutto in anticipo, nel bene e nel male: la digitalizzazione, lo smart working, il fenomeno delle grandi dimissioni, un mercato del lavoro sempre più precario”. Qui, pescando nella memoria della cronaca, ricordiamo Bonini all’inizio del suo primo mandato denunciare, tra i primissimi, la storia dell’algoritmo che governa i rider, ben presto divenuta metafora del lavoro dell’epoca. Perché Milano resta un’incubatrice in cui tutto viene amplificato e anticipato. “Per questo qui ci sono tante cose negative, ma anche tantissime opportunità. Anche per il sindacato, per modellare il sistema di contrattazione, ma anche per cambiare le proprie forme di azione. Qualcosa che dobbiamo affrontare, che non possiamo più rimandare”.

Dove si annida il virus che sta indebolendo il lavoro? “Il grande tema del lavoro povero è quello degli appalti. Noi abbiamo fatto dei protocolli con il Comune di Milano sugli appalti pubblici, ma ci manca il pezzo degli appalti privati. Ne abbiamo discusso anche nel patto che abbiamo siglato per Milano, peccato che quando abbiamo provato a traslare gli accordi degli appalti pubblici nel mondo privato abbiamo trovato un muro di sbarramento. Lo stesso sindaco Sala, in polemica con le grandi associazioni datoriali, prime tra tutte Confindustria e Confcommercio, ha chiesto di aumentare i salari. Poi certo, gli altri temi caldi sono quello del rinnovo dei contratti e di una riforma fiscale che redistribuisca”.

Nella mappa sociale che disegna Bonini si legge chiaramente il percorso imboccato da Milano, che rischia di portare la città alla deriva. Perché accanto al lavoro povero e svalorizzato, come benzina sul fuoco, esplode ormai da tempo l’emergenza abitativa. “Il tema lo abbiamo sotto osservazione da anni – ricorda il segretario generale della Cgil provinciale –. Abbiamo anche promosso diverse iniziative e un dialogo istituzionale per trovare soluzioni e non conflitti. Proviamo anche a rimettere in gioco la storia del sindacato confederale: ricordo sempre che nel biennio 1968-69 le lotte operaie partirono con uno sciopero generale a Milano sulla casa. Certo, le dinamiche erano diverse, all’epoca si accoglievano i migranti che arrivavano dal Sud Italia. Oggi il problema nasce e cresce nelle diverse rigenerazioni urbane vissute dalla città, nella speculazione edilizia che si alimenta con gli affitti brevi di una Milano diventata meta turistica. Così, se uno deve investire in un immobile, investe in quella direzione, drogando il mercato immobiliare. Un tema per altro condiviso da tutte le città, anche le medio piccole. In Lombardia, da Bergamo a Brescia a Pavia, dove c’è l’università o il lavoro crea un cambiamento nel territorio i prezzi immobiliari schizzano alle stelle, mentre nelle città il lavoro più diffuso è nel terziario, lavoro povero il più delle volte. Partono dinamiche espulsive dalla città che prima o poi creeranno paradossi nel lavoro: chi farà più il cameriere nei ristoranti o l’autista nei trasporti pubblici? A Milano poco tempo fa non si trovavano 600 autisti di autobus perché il rapporto tra stipendi e costo della vita in città è impraticabile per molti. Pensiamo anche ai lavoratori pubblici nelle scuole o negli ospedali. Chi verrà più a lavorare nelle città se non potrà permettersi l’affitto o il mutuo?”.

E allora cosa può fare il sindacato? La metafora della Cgil che è uscita dal bellissimo congresso milanese è quella di un’organizzazione proiettata nel futuro anche se resta fortemente ancorata alle sue origini e ai suoi valori. Non a caso la due giorni è partita da un ologramma di Giuseppe Di Vittorio, padre della Cgil, che sembrava presente sul palco ed è arrivata fino all’intervento dell’ex segretario generale nazionale Antonio Pizzinato, che ha ricordato a tutti lo stile, la sobrietà e l’etica del fare sindacato in questa organizzazione. È l’idea di Massimo Bonini: “Guardare al domani, al futuro, ai cambiamenti, mantenendo saldamente la nostra storia e i nostri valori: siamo riconosciuti per questo e a Milano si sente tantissimo”. È senz’altro da qui che riparte l’azione della Cgil.

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