Joof Yusupha aveva trentacinque anni quando è morto. L’ennesimo immigrato, l’ennesimo bracciante che ha perso la vita da invisibile in un ghetto. È accaduto lo scorso 27 giugno a Rignano, in quella Capitanata dove il lavoro agricolo soffre ancora delle piaghe dello sfruttamento, del caporalato e della tratta. Per Yusupha l’ultimo atto è stato un incendio nella notte. Lui, che da più di vent’anni lavorava piegato sui campi e viveva in quella baraccopoli senza documenti né la possibilità di un futuro dignitoso, non ce l’ha fatta. A distanza di poco più di un mese, la salma del ragazzo potrà finalmente tornare in Gambia e, in accordo con la famiglia e con la comunità africana che lo aveva conosciuto, la Flai e la Cgil hanno deciso di dedicargli un ultimo saluto davanti alla sede della Camera del lavoro di Foggia.  L’appuntamento è in programma domani (mercoledì 3 agosto) alle 16 e sarà seguito da un corteo diretto verso la Prefettura perché – dicono lavoratori e sindacato – “il tempo della Bossi Fini, dei decreti Salvini che trasformano persone in schiavi perché private dei documenti, pur lavorando, pur vivendo nel nostro territorio, deve finire”. Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, sarà presente: “Davanti a situazioni come queste lo Stato non può tirarsi indietro – ci spiega – e, invece, constatiamo che c’è uno Stato che non funziona”.

In effetti, quella di Yusupha non è che l’ultima delle tante morti registrate nei ghetti italiani. Perché, nonostante tutto, questi luoghi continuano a esistere e continuano a mietere vittime?

Semplicemente per la mancanza di volontà di mettere in pratica cose che chiediamo da anni e che, in aggiunta, sono previste anche dalla legge 199, come un lavoro e un alloggio dignitosi e maggiori controlli. Purtroppo nel foggiano, ma più in generale in tutt’Italia, si fa una grande fatica a uscire da una situazione francamente incomprensibile: assieme a Spagna e Grecia, siamo gli unici tre Paesi che non riescono ad affrontare il tema dell’accoglienza e dell’integrazione trascinandoci così in situazioni assurde e prive di senso, come quella che ha portato alla morte di Yusupha.

Eppure le risorse non mancherebbero, tanto più con l’arrivo del Pnrr.

Infatti. Pensavamo di essere a una svolta. Invece non è successo. I fondi ci sono e sono stati anche assegnati ai vari comuni ma adesso registriamo l’incapacità delle macchine burocratiche di presentare, costruire e seguire i progetti con il rischio che quelle risorse allocate per superare i ghetti e offrire alloggi dignitosi ai braccianti vengano sprecate e spese male, perché, almeno al momento, i comuni, soprattutto nel foggiano, non hanno possibilità e competenze adeguati. Lì poi scontiamo anche l’assenza di un coordinamento efficace da parte della Regione Puglia.

Segretario, poco fa ha utilizzato un’espressione forte: ha detto che c’è uno Stato che non funziona. A cosa si riferisce?

Beh, mi riferisco al fatto che rispetto a situazioni di illegalità diffusa, mafie, criminalità organizzata, lo Stato arriva con un ritardo pauroso perché la macchina è farraginosa e perché ci sono delle disfunzioni enormi. Per fare un esempio concreto, basti pensare ai controlli. Per quanto, con l’arrivo del nuovo direttore, siano stati compiuti considerevoli passi in avanti da parte dell’Ispettorato nazionale del lavoro, il personale rimane al di sotto delle necessità del nostro sistema produttivo e quindi i controlli sono ancora troppo pochi rispetto al numero delle imprese agricole. Riconosciamo – è vero – che alcuni risultati sono stati ottenuti grazie alla legge e grazie anche all’attività che si è cominciato a fare, all’attenzione che teniamo alta come organizzazione ma sappiamo anche che per vincere la lotta contro caporalato e sfruttamento non si può allentare il controllo o la presenza sul territorio. Lo Stato deve esserci e deve fare la sua parte. La dimostrazione? L’aumento dei salari di piazza, sempre più vicini a quelli provinciali. Laddove c’è maggiore attenzione da parte delle istituzioni tutte, cresce la volontà delle imprese di avvicinarsi alla regolarità.

La presenza è un fattore cruciale per chi vuole rappresentare i lavoratori ed è anche il senso della vostra mobilitazione di domani e dell’ultimo saluto dedicato a Yusupha. Esserci o non essere?

Questo è solo l’inizio, si dovrebbe percorrere questa strada sempre con maggiore convinzione e determinatezza. Noi accompagneremo la salma di Yusupha nel suo Paese di origine per dargli una sepoltura dignitosa e farlo ritornare vicino ai suoi cari. Non è la prima volta purtroppo che ci troviamo a commemorare compagni e fratelli morti nei luoghi dello sfruttamento, dalla Puglia alla Sicilia, vittime di “incidenti” ingiustificabili che non dovrebbero mai accadere. Lo facciamo perché il sindacato è solidarietà attiva e concreta. Ma questo momento di lutto, rispetto e solidarietà si accompagnerà a una manifestazione di protesta perché fatti del genere non devono accadere mai più. La legge 199 prevedeva che entro 60 giorni dalla sua entrata in vigore, il governo avrebbe dovuto mettere a punto un piano di accoglienza cancellando i ghetti. Ebbene non sono passati solo 60 giorni, sono trascorsi ormai sei anni e quel piano non si vede neppure con il binocolo. Noi torniamo a denunciarlo e, come dicevo poco fa, protestando sotto la prefettura domani, torniamo a chiedere allo Stato di assumersi le proprie responsabilità.