I dati Istat relativi al IV trimestre 2021 confermano sia un rallentamento della dinamica occupazionale che una quota molto alta di attivazioni di lavoro precario. Le cifre sono chiare. Nel IV trimestre infatti, rispetto a quello precedente, ci sono 80 mila occupati totali in più, suddivisi in +80 mila a termine (il totale dell’aumento), -11 mila a tempo indeterminato, + 11 mila indipendenti. Anche il riferimento annuale è altrettanto esplicito. Dei + 571 mila occupati fra il IV trimestre 2020 e il IV trimestre 2021, 384 mila sono a termine, oltre i due terzi del totale.

Nell’anno di crescita, oltre il 6% del Pil dunque, il risultato verso l’occupazione non solo è debole, ma soprattutto è fortemente precario e le previsioni future di sviluppo sono, a causa della guerra in Ucraina ma non solo, in forte rallentamento. Ma non sono gli unici dati da prendere a riferimento. I part-time aumentano ancora, ma soprattutto aumentano di ben +163 mila fra gli occupati a termine, acuendo ancor di più sia i problemi salariali, che l’involontarietà della scelta di quel tipo di lavoro. Sommando gli occupati a tempo determinato e i part time involontari, oltre il 25% del totale degli occupati risulta dunque in condizioni di insicurezza, con salari inadeguati e svolge in modo non volontario il proprio lavoro.

In generale Istat conferma che nel corso del 2021 si è registrata una riduzione del potere di acquisto delle retribuzioni e, anticipa, che questa riduzione rischia di acuirsi nei prossimi mesi. Occorrono quindi scelte immediate, contrattuali e fiscali, che contrastino questo declino per tutti i lavoratori, ma anche scelte relative al mercato del lavoro necessarie ad arginare la deriva di occupazione precaria e involontaria che aumenta l’area del bacino di lavoro povero. Non solo la crescita dell’occupazione ha riguardato prevalentemente i dipendenti a termine, ma in circa 6 casi su 10, questi hanno svolto lavori di durata pari o inferiori a 6 mesi. I dati delle comunicazioni obbligatorie rilevano che addirittura un terzo lavora fino ad un massimo di 30 giorni.

Sulla base di questi dati il tasso di occupazione nel IV trimestre 2021 arriva al 59,5%, ma la sua ripartizione geografica e di genere è molto diversa. Oltre il 60% è il tasso del centro nord ma solo del 46% nel Mezzogiorno; solo al 51% fra le donne, con un dato drammatico nel Mezzogiorno del 34,6%. Quanto tempo dovremo ancora aspettare per superare finalmente la soglia del 60% del tasso di occupazione? Ancora oggi, è di oltre 9 punti percentuali inferiore a quello dell’Eurozona. Che obiettivo ci si propone, anche da questo punto di vista, con l’attuazione del Pnrr e la mole di investimenti ai quali è legato? Colmare almeno nel 2026 il 50% di questo divario con l’Eurozona?

Per farlo, per aumentare cioè di 4,5 punti percentuali l’attuale tasso, l’occupazione italiana dovrebbe aumentare in quel periodo di oltre 1,5 milioni di persone. Le stime sugli incrementi attualmente previsti non coprono questo divario e allora fra le tante verifiche che vengono richieste su quel piano, una è sicuramente necessaria in relazione allo sviluppo della piena e buona occupazione.

Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio Cgil