Il 4 marzo del 2006, a conclusione del XV Congresso della Cgil, Guglielmo Epifani viene riconfermato segretario generale della Confederazione.

“Gentili ospiti, amici invitati, delegate e delegati, care compagne e cari compagni - diceva aprendo l’assise - torniamo a Rimini dopo quattro anni per celebrare assieme il XV congresso nazionale della Cgil. Abbiamo alle spalle mesi e mesi di dibattiti, confronti, discussioni serrate. 55.000 assemblee nei posti di lavoro, nelle leghe e luoghi dei pensionati. Una partecipazione di oltre 1.600.000 persone fra iscritte e iscritti alla Cgil e una presenza al voto quasi altrettanto alta. Abbiamo in questi mesi incontrato tanti giovani per la prima volta, spesso precari nella loro condizione di lavoro e di vita; tanti migranti, quelli più fortunati, a cui un lavoro regolare ha ridato dignità e identità sociale; tante anziane e anziani a cui il tempo non ha attenuato né la passione né la volontà di agire.

Questa è la Cgil, il più grande sindacato italiano, e tra i primi in Europa; questo è il suo volto: una comunità di uomini e di donne che liberamente si associano, discutono, agiscono e decidono per dare dignità e diritti alle persone, e dare forza ai valori della solidarietà e della giustizia sociale.

Qui, prima che nei numeri - in questa passione e in questi ideali - risiede la vera forza della Cgil. Una organizzazione serena, affidabile, ferma nei suoi principi, aperta al confronto e al dialogo con tutti”. Una organizzazione che proprio nel 2006 festeggia i suoi primi cento anni di vita".

“Care compagne e cari compagni - proseguiva il segretario - il 1° ottobre a Milano celebreremo i cento anni dalla nascita della Confederazione Generale del Lavoro. Si tratta per noi tutti di una ricorrenza importante perché ricorda l’ingresso nella storia del paese non del sindacato, che era già nato con le prime Camere del Lavoro e le più antiche federazioni di categoria (metalmeccanici, lavoratori della terra, tessili, grafici, panettieri, vetrai, edili), ma di quella particolare forma unitaria e generale di rappresentanza del lavoro. Quella che solo due anni prima era stata anticipata e richiesta dal primo sciopero generale.

Il centenario è quindi l’occasione per riscrivere questa storia - che non è solo la nostra ma appartiene a tutti - per tirare fuori dagli archivi la memoria di persone e generazioni che con il loro impegno e la loro scelta di vita hanno contribuito al processo di emancipazione del lavoro, hanno dato senso a parole come diritti e dignità, hanno liberato il lavoro dalla schiavitù, dall’oppressione, hanno fatto crescere partecipazione e democrazia, coscienza di sé e delle proprie ragioni. Ci hanno fatti diventare tutti un po’ più diversi, e un po’ più uguali, un po’ più meticci.

In tanti convegni, in tanti libri, abbiamo ricostruito le parti più significative di questa storia, le conquiste sindacali più importanti, le lotte più epiche, la difesa operata nei confronti di un fascismo che chiudeva Camere del Lavoro e colpiva persone inermi. Abbiamo rievocato gli scioperi del 1943 – 1945, unici in Europa, in un paese in guerra e sotto l’occupazione straniera, che portarono alla deportazione di 12.000 lavoratori, e che sono all’origine della parte prima e del primo articolo della nostra Costituzione. Abbiamo riletto la vita e l’esperienza delle personalità più importanti di questa storia, da quelle più lontane nel tempo, tra le quali voglio ricordare la figura di Argentina Altobelli, segretaria dei lavoratori della terra, in un periodo in cui alle donne non era consentito il diritto di voto, a quelle più vicine, tra le quali un posto a sé merita la figura di Giuseppe Di Vittorio, capace di unire il suo impegno sindacale negli anni venti tra i suoi braccianti di Cerignola con quello che lo porta ad essere con Grandi e Buozzi autore del Patto di Roma, della rinascita della Cgil unitaria del dopoguerra, e poi dopo la divisione, primo segretario della Cgil, nel pieno degli anni della guerra fredda.

Tante storie locali, municipali, di città e di paese, più antiche e più recenti, si sono aggiunte in una gara per scoprire radici lontane e suggestioni sempre uguali: le storie di miniera (ad agosto ricorre il cinquantesimo anniversario dei morti di Marcinelle) e quelle delle risaie, gli opifici e le manifatture, le prime grandi fabbriche, l’epopea dei nostri martiri siciliani, prima e dopo Portella della Ginestra, le emigrazioni degli anni cinquanta e sessanta, il lavoro fordista, la stagione terribile delle stragi e del terrorismo. Quel terrorismo che poco dopo il nostro ultimo Congresso uccise il professor Marco Biagi. Tutto questo per arrivare ad una conclusione semplice e vera: questa storia non è la storia di una parte del paese, o una storia minore, ma costituisce - non da sola ovviamente - la nostra identità storica e la nostra comune democrazia. È la radice delle nostre libertà”.

“Solo un sindacato confederale - affermava Epifani chiudendo le celebrazioni - quello di ieri e quello di oggi, può tenere unite dentro di sé le ragioni dei lavoratori della terra a quelli dell’industria, quelli pubblici e quelli privati, quelli del Sud e quelli del Nord, gli emigranti e gli immigrati, i giovani che studiano, i disoccupati, gli anziani e i pensionati. Tutto, proprio tutto, della vita centenaria del sindacato italiano sta qui, in quell’atto, in quella scelta, in quell’inizio. In quell’idea - come ci ricorda Vittorio Foa - per la quale battendosi per i propri diritti si pensa insieme sempre ai diritti degli altri”.

“Un paese che non guardi ai giovani - diceva - è un paese che si chiude, che ha paura, che non investe sul proprio futuro. (…) Non abbiamo vissuto e speso questa storia per tornare alle disuguaglianze del tempo delle origini. Non lo vogliamo. Non lo permetteremo. Non lo possono volere tutte quelle imprese che puntano sulla qualità e sull’innovazione per reggere la competizione in un mondo reso più incerto e difficile dalla globalizzazione dei mercati.  Lavoreremo - care compagne e cari compagni - perché il futuro abbia il cuore e la forza di questa storia, che è storia del paese, rinnovandola e riformandola, accettando le sfide, come sempre abbiamo fatto, quando la sfida ha avuto ed ha una posta importante.  Quello che ha alimentato una ragione di vita ed una ragione di appartenenza, per tanti, attraverso le generazioni, ci servirà per il cammino che ci aspetta.  Qui, oggi, a Milano, rinnoviamo lo stesso impegno di allora.  Ripartiamo con un nuovo inizio, orgogliosi della nostra storia e dei valori, che ne hanno segnato il percorso e ne accompagneranno il futuro, insieme con tanti altri al nostro fianco. In questo modo la storia centenaria della Cgil e di tutto il sindacato continuerà a vivere davvero e sarà stata una storia spesa bene, per chi la volle e per il paese.  Una storia che con emozione e orgoglio - non inferiore a quello che provarono i delegati di quel congresso cento anni fa - consegniamo a tutti coloro che verranno. Perché questa storia gli appartiene, perché vogliamo che il futuro comune riparta da qui”.

Oggi come ieri.