Il tema dell’orario di lavoro è sempre stato una questione centrale per tutti coloro, a partire dal sindacato, che si battono per un diverso modo di produrre e di organizzare la società nel suo complesso. Il rapporto assai stretto tra organizzazione degli orari di lavoro e innovazione tecnologica è spesso contraddittorio. Potenzialmente, infatti, le tecnologie della comunicazione e dell’informazione sarebbero in grado di dare vita a una organizzazione del lavoro meno ripetitiva, meno gerarchica, più aperta, ove centrale diventa la stessa intelligenza e creatività del lavoratore. Non è però questa, oggi, la tendenza prevalente. Infatti, ciò cui assistiamo nelle società più avanzate è una nuova polarizzazione del lavoro. Si aprono nuove fratture fra un nucleo ristretto che detiene conoscenza e sapere e una massa di persone chiamate a svolgere mansioni ripetitive e a rischio di obsolescenza del loro bagaglio formativo.

È in questo contesto che va posto il grande tema della riduzione dell’orario di lavoro. Tema, come ci ricorda Fausto Durante, che “ha sempre coinciso con le fasi di grande forza e capacità contrattuale del movimento sindacale”. Oggi c’è bisogno di ricomporre le fratture sociali che si sono determinate nel corso di questi anni. Il contratto nazionale, la contrattazione aziendale, di sito, di filiera, rappresentano strumenti irrinunciabili per unire ciò che si è voluto dividere. C’è bisogno, insomma, di nuove politiche economiche e di sviluppo attraverso le quali il tema della redistribuzione e riduzione dell’orario di lavoro possa acquisire una nuova centralità.

Diversi economisti, osservatori, studiosi hanno affermato che al declino dell’industria, che è andato avanti negli ultimi decenni, corrisponderebbe una crescita di nuove attività economiche e settori in grado di assorbire l’occupazione che verrebbe persa nell’industria. Le cose però non sono andate esattamente così. I settori che sono maggiormente cresciuti sono servizi assai spesso non di qualità, dove la produttività è notevolmente più bassa dell’attività industriale. Questa è una delle ragioni per la quale le occasioni di lavoro e i livelli salariali che si offrono sono peggiori che nel passato. Vi è stata una generale estensione degli orari di lavoro nei settori trainanti delle diverse economie e dove prevalgono lavoro stabile e attività ad alta qualifica e, invece, una riduzione delle ore di lavoro che ha preso anche la forma di disoccupazione endemica, sottoccupazione, part-time involontario, lavoro precario, in particolare nelle mansioni più generiche, ripetitive, di scarsa qualità.

Sono tutti elementi che durante la pandemia da Covid-19 si sono resi ancora più evidenti. Da un lato, infatti, la diffusione del virus ha reso più chiaro quanto sia insostenibile un mercato del lavoro fatto di precarietà, assenza di diritti e tutele, di caporalato e di lavoro nero. Dall’altro lato, l’emergenza sanitaria ha esteso il ricorso allo smart working e al lavoro da remoto. Proprio nel pieno della pandemia il confine tra tempo di lavoro e tempo di vita si è fatto ancora più labile e spesso gli orari di lavoro si sono allungati. Proprio per questa ragione è fondamentale riportare questo strumento nel contesto regolamentato e sorvegliato della contrattazione .

Un altro aspetto importante viene messo in evidenza nel libro di Fausto Durante. Viene detto testualmente che “l’economia ha smesso di funzionare in maniera tale da favorire la distribuzione dei suoi risultati con equità e attenzione sociale”. Si è ridotta quindi “la tendenza a diminuire gli orari di lavoro” come misura per migliorare le condizioni di lavoro e la sua qualità.

Per tutte queste ragioni c’è bisogno di ripensare e rimodellare le politiche di sviluppo. Da lungo tempo nel nostro Paese si è rinunciato a definire politiche industriali, a indicare priorità a settori strategici su cui investire. Si è scelta la strada della decontribuzione, dei bonus, degli incentivi fiscali senza alcuna condizionalità. Queste si sono rivelate però misure che hanno assorbito risorse consistenti ma poco hanno dato dal punto di vista della crescita e del lavoro. Al centro del cambiamento deve esserci il lavoro, la sua qualità, i suoi diritti. E il tema di una diversa organizzazione del lavoro e di una diversa redistribuzione degli orari sta dentro la battaglia per un diverso modello dello sviluppo. Il tema del cosa produrre, per chi produrre, come produrre acquista oggi una grande concretezza. Si tratta, infatti, di orientare lo sviluppo verso una nuova qualità delle produzioni, la rivalutazione dei beni comuni e pubblici, la conoscenza, la cultura, la qualità sociale. Tutto ciò significa porre la stessa industria al servizio di uno sviluppo equilibrato e sostenibile sul piano sociale e ambientale. Una svolta di tale portata non può essere lasciata al mercato. Ha bisogno di un autorevole intervento e indirizzo pubblico. Sono temi che hanno una stretta connessione con la grande questione della redistribuzione e riduzione dell’orario di lavoro.

Da uno degli studi citati nel libro risulta che i paesi dove il numero di ore di lavoro annuo è minore della media europea, ad esempio Norvegia e Francia, presentano effetti positivi per ciò che riguarda il rapporto tra ore lavorate e Pil. In questa speciale classifica il nostro Paese si colloca al dodicesimo posto con una media di 1.609 ore annue lavorate. Diverso è il caso degli Stati Uniti d’America, dove risulta che nell’anno preso in considerazione, i lavoratori passano al lavoro molto del loro tempo. Questo dato però non ha alcun rapporto con la produttività complessiva di quel paese. È una delle ragioni, ci dice il libro, per cui negli Usa, e in generale nei paesi anglosassoni, la discussione sugli orari di lavoro è assai vivace.

Altrettanto interessanti sono gli studi relativi al rapporto tra orari di lavoro e questione ambientale. Alcuni studiosi statunitensi, prendendo in considerazione il rapporto tra orari di lavoro e sostenibilità ambientale nei paesi Ocse, sostengono che nei paesi con orari di lavoro più lunghi sono maggiori le emissioni di anidride carbonica e l’impatto del carbonio sull’ambiente. Quegli studi dimostrano che invece riduzioni di orario di lavoro potrebbero contribuire a un miglioramento delle condizioni ambientali.

Oltre agli studi che abbiamo richiamato, il libro contiene una ricca documentazione sugli aspetti legislativi e su quelli riguardanti la contrattazione per la riduzione degli orari di lavoro. L’attenzione è rivolta in primo luogo alla legge sulle 35 ore varata nel 1998 in Francia dal governo guidato dal socialista Jospin. Non mancano naturalmente i riferimenti alle esperienze di contrattazione collettiva nazionale e aziendale. Si va dall’accordo dei metalmeccanici tedeschi che dà la possibilità di optare per le 28 ore settimanali, anziché 35, senza penalizzazione sul salario contrattuale di base, a quello, sempre in Germania, nel Land del Nord Reno-Westfalia da 32 ore. Ne risulta un quadro dal quale si evince che la riduzione degli orari di lavoro, oltre a lasciare inalterati gli stipendi, ha migliorato le condizioni di lavoro, la produttività e la stessa performance delle imprese.

La Cgil sta completando il percorso dell’Assemblea organizzativa e sta per avviare la fase della preparazione del nuovo congresso. Due appuntamenti di fondamentale importanza per definire, in una delle fasi più difficili della storia del nostro Paese, un progetto politico e sociale capace di incidere sull’organizzazione del lavoro, sulle strategie tecnologiche, sugli apparati della conoscenza e della formazione. Una strategia e una battaglia per una diversa distribuzione degli orari sta dentro questo grande progetto di cambiamento.

Testo ricavato dall’introduzione di Maurizio Landini a Fausto Durante, “Lavorare meno, vivere meglio”, Futura editrice, 2022