“Se non siamo noi a mettere al centro i lavoratori, a difendere l’industria, a sostenere un’idea di società diversa dall’attuale, nessuno lo farà al posto nostro”. È questo lo spirito con cui la Fiom Cgil, guidata dalla segretaria generale Francesca Re David, affronta la due-giorni dell’assemblea di organizzazione che si apre oggi (martedì 25 gennaio) a Cervia (presso il Club Hotel Dante, in viale Milazzo 81). Una kermesse che riunisce 220 quadri e delegati, cui partecipa la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti. L'apertura di oggi è affidata al segretario organizzativo Luca Trevisan, le conclusioni (previste per mercoledì 26 gennaio alle ore 15) a Francesca Re David.

“Abbiamo la necessità – spiega la segretaria generale – di riflettere sui cambiamenti profondi del mondo del lavoro degli ultimi anni. Trasformazioni originate dallo sviluppo delle tecnologie, dalle scelte delle imprese, dall’imporsi di nuovi modelli organizzativi. E dobbiamo capire come essere efficaci nella relazione con i lavoratori, con l’obiettivo di stringere sempre più i legami di rappresentanza”.

La rappresentanza, appunto. Qual è la situazione?
Stiamo misurando il voto nelle elezioni delle Rsu nelle aziende di Federmeccanica: i dati ci dicono che i lavoratori votano la Fiom, abbiamo la maggioranza assoluta. Ma a questo successo non corrisponde un’analoga crescita delle iscrizioni, in realtà ogni anno registriamo un calo. Una difficoltà con molte cause, dalla diffusione del lavoro precario alla labilità delle catene di appalto e subappalto. È cambiata anche la motivazione dell’adesione: prima era molto veicolata dagli ideali, ora si sostanzia soprattutto nell’efficacia della nostra azione.

Il 2022 si annuncia un anno complesso. Quali sono i principali nodi da scogliere?
I problemi sono molti: una situazione politico-istituzionale instabile, una rappresentanza politica in cui i lavoratori non si riconoscono più, una scarsa partecipazione al voto da parte dei ceti popolari che evidenzia quanto la politica sia distante da loro. Una distanza che registriamo anche noi, sia a livello confederale, come ha dimostrato lo sciopero del 16 dicembre scorso, sia nel nostro ambito, con il ministero dello Sviluppo economico che non riesce a risolvere alcuna crisi.

A proposito: come sono i rapporti col governo?
Gli spazi di confronto sono pressoché assenti, gli strumenti che l’esecutivo usa sono mere proceduralizzazioni, come nel caso delle delocalizzazioni. Soprattutto non sta affrontando la difficile fase di transizione ambientale e tecnologica, senza riguardo per la qualità del lavoro, i diritti delle persone, la tenuta dell’occupazione. Dentro questa ‘transizione di sistema’ ci sono settori strategici: l’automotive anzitutto, ma anche la siderurgia, le telecomunicazioni. Ci sono anche crisi industriali recenti, come Gianetti Ruote, Gkn, Timken, Speedline e Caterpillar, tutte del settore automotive. Ma il governo italiano, a differenza di Francia e Germania, non ha un piano strategico per gestire la transizione. Servirebbero idee, ma l’esecutivo non ha visione né politiche industriali all'altezza. E non c'è industria, non c’è futuro, se si chiudono le fabbriche.

Il perdurare del Covid-19 sta complicando il lavoro sindacale?
Ci troviamo dentro una situazione inimmaginabile: la pandemia ha aggravato la vita delle persone, rendendo difficili le relazioni sociali e personali nei luoghi di lavoro. Fin dall’inizio, però, noi abbiamo costruito protocolli con Federmeccanica per tenere le fabbriche aperte, fare assemblee, abbiamo anche rinnovato i contratti nazionali. E le nostre sedi non hanno mai smesso di funzionare. Se chi rappresentiamo sta in fabbrica, anche noi ci dobbiamo stare: questa è stata fin dall’inizio la nostra linea, e questa continuerà a essere.