È passato un anno da quello sgradevole messaggio apparso all’improvviso sugli smartphone di migliaia di rider, con il quale Deliveroo comunicava con fredda determinazione la cessazione dei rapporti di lavoro per tutti coloro che non avessero accettato di consegnare, sottostando alle nuove condizioni imposte da un contratto collettivo firmato solo pochi giorni prima da un’organizzazione del tutto sconosciuta nel panorama delle lotte dei ciclofattorini.

Il nuovo contratto collettivo, sottoscritto all’"improvviso" mentre era in corso con la mediazione del ministero del Lavoro un tavolo ufficiale di trattativa, mandava in frantumi le aspirazioni di tutti i rider che desideravano migliori condizioni e vedevano finalmente prossima la possibilità di avere un contratto che sanciva anche per loro gli stessi diritti garantiti da tempo agli altri lavoratori. Con quel breve messaggio veniva spazzato via ogni possibile dialogo.

Le multinazionali del food delivery avevano chiaramente “gettato la maschera” e rivelavano la loro reale intenzione di sottrarsi a ogni confronto con la Cgil, da sempre impegnata al fianco dei rider a sostegno delle loro iniziative, per scegliere un interlocutore più disponibile a condividere le istanze delle piattaforme. Dopo il provvedimento di Bologna, però anche la sentenza depositata lo scorso 24 novembre dal Tribunale di Firenze riconosce l’antisindacalità di quella scelta condivisa da tutte le aziende associate ad Assodelivery. La decisione rappresenta un fondamentale traguardo del contenzioso promosso da Filcams, Nidil e Filt in quanto afferma con chiarezza principi di estremo interesse e novità, non solo per il settore della gig economy.

Se per un verso il magistrato fiorentino dichiara di condividere le argomentazioni della Cgil, con le quali si minano le fondamenta del contratto collettivo perché sottoscritto da una sigla sindacale non rappresentativa, espressamente ritenuta “vicina” alle posizioni aziendali in forza di oggettivi indizi che portano il magistrato a ritenere compromessa la genuinità del contratto, il punto di maggiore interesse della sentenza è rappresentato dall’apertura al diritto dell’Unione europea, che spalanca nuovi orizzonti di tutela anche per la dimensione collettiva. Per la prima volta e con fragore entra nel panorama giurisprudenziale italiano la nozione di “worker” che nelle due sillabe che la compongono racchiude un universo di diritti individuali e collettivi di matrice “eurounitaria” fino a poco prima disconosciuti ai lavoratori non standard.

Secondo il diritto della UE, infatti, il worker è qualunque lavoratore che fornisce per un certo periodo a favore di un altro soggetto e sotto la sua direzione prestazioni di lavoro. L’ampio spettro consente, quindi, di ricondurre nell’ambito della definizione tutti i lavoratori che operano attualmente in una zona grigia di dipendenza anche economica, che tuttavia non sono agevolmente riconducibili alla nozione di lavoratore subordinato, elaborata dalla giurisprudenza nazionale nel solco del modello produttivo tradizionale fordista, in ragione delle potenzialità tecnologiche e disaggregatrici proprie dell’economia digitale, rispetto alle quali la giurisprudenza nazionale stenta ancora a trovare un condiviso punto di equilibrio.

Il ricorso alla nozione di worker consente dunque al magistrato fiorentino di superare la dicotomia qualificatoria nazionale (subordinazione/autonomia), per dichiarare la piena applicazione delle procedure di consultazione sindacale sancite dalla direttiva dell’Unione sui licenziamenti collettivi e sui flussi informativi, imponendo la revoca dei licenziamenti intimati dodici mesi prima e quel necessario confronto con le categorie della Cgil al quale Deliveroo voleva sottrarsi.

La multinazionale inglese, che ha visto dichiarare il carattere discriminatorio dell’algoritmo e nei cui confronti è ancora pendente la prima class action in materia di lavoro, avviata a metà agosto congiuntamente da Nidil, Filcams e Filt, deve ora avviare grazie al Tribunale fiorentino un vero confronto con la Cgil, non potendo più compensare i suoi rider ricorrendo al cottimo né regolare le loro condizioni di lavoro richiamando il contratto collettivo che aveva imposto solo un anno prima. Al colosso del food delivery ormai non è più consentito sottrarsi, almeno nell’area di Firenze e Bologna, all’applicazione dei parametri normativi e retributivi della contrattazione di categoria sottoscritta dalle federazioni dei settori affini.

La strada per il riconoscimento di una contrattazione effettiva e rappresentativa è ormai aperta grazie all’incessante impegno congiunto delle tre categorie che insieme hanno portato avanti, condividendo un progetto unitario, una lotta di civiltà giuridica che consente ora di guardare al futuro con ottimismo.