La pandemia, con il lockdown e il distanziamento sociale, hanno gettato una luce diversa sui rider, lavoratori ormai essenziali per la sopravvivenza della ristorazione, e non solo. Ma chi sono i rider in Italia? Quanti sono?

Calcolare un dato esatto, oggi, è pressoché impossibile, perché per molti si tratta di un'occupazione temporanea, c'è chi lavora nello stesso momento per più food player e anche chi fa del vero e proprio caporalato, cedendo le proprie corse in cambio di benefici. Nei suoi ultimi report, l’Inps contava circa 11.000 rider nel 2019. Stime sindacali, sempre pre-pandemia, fanno invece lievitare le cifre, arrivando a 30.000 addetti solo nelle maggiori piattaforme e nelle città più grandi. Nel febbraio 2021, poi, la Procura di Milano dopo una lunga indagine ha chiesto la regolarizzazione di addirittura 60.000 lavoratori delle principali società del settore.

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Conti alla mano, si direbbe che la pandemia, con i suoi effetti devastanti sul mercato del lavoro, abbia ingrossato a dismisura le fila dei ciclofattorini italiani. D'altronde, secondo le stime di Just Eat, uno dei maggiori player, il mercato del food delivery negli ultimi tempi è letteralmente esploso nel nostro Paese. Nel 2020 ha toccato gli 800 milioni di euro. Quasi il doppio dell’anno precedente, e quattro volte rispetto al 2018. Per il 2021 le aziende prevedono addirittura di sfondare quota un miliardo di euro. Servono insomma nuovi addetti.

Però, anche tracciarne un identikit appare molto complicato. Perché ci sono rider diversi in base alla composizione sociale delle città in cui lavorano. A Bologna e Firenze, ad esempio prevalgono lavoratori giovani, spesso universitari. Napoli e Palermo hanno invece una forte presenza di lavoratori espulsi dal mercato del lavoro. A Roma e Milano prevalgono i migranti. Tuttavia, anche in questo caso, la pandemia sembra aver sparigliato le carte in tavola. Secondo diversi studi, ancora in corso in molte città, l'età media dei rider si sta alzando parecchio, i cittadini italiani aumentano rispetto agli stranieri, e incominciano ad affacciarsi a questo mondo anche le donne.

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In attesa dei risultati delle indagini, si può comunque affermare che la vulgata del “lavoretto per arrotondare” perde pezzi anno dopo anno. Il food delivery nell'Italia post-covid appare infatti come un settore in grado di intercettare masse di nuovi disoccupati o di lavoratori poveri. Insomma chi un lavoro dignitoso non ce l'ha. E non è certo detto che in questo modo riesca a trovarlo.