L'Ance, l'associazione nazionale dei costruttori edili lancia un allarme forte e chiaro: secondo le sue stime, per il 2022 ci sarà bisogno di circa 265.000 posti di lavoro, tra 170.000 unità nel settore e altre 95.000 nei compartimenti collegati. Buone notizie? Solo fino a un certo punto, perché le imprese non trovano il 52% degli addetti alle finiture e il 60% dei giovani operai specializzati richiesti. Gabriele Buia, presidente dell’associazione dei costruttori, ha affidato le sue parole al Sole24Ore: “La prospettiva offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, dal Superbonus e da una ripresa del mercato immobiliare - ha detto - è quella di un ritorno, a medio termine, ai livelli occupazionali registrati prima della crisi. Ma i 400mila lavoratori che abbiamo perso nella crisi iniziata nel 2008, sono ormai usciti dal settore e tocchiamo già con mano la difficoltà di formarne di nuovi, ma anche di convincere le risorse oggi fuori del mercato a rientrare in cantiere: in molti casi preferiscono la strada del reddito di cittadinanza e il freno è dato anche dall’assenza di competenze.”

Alla luce della significativa ripresa del settore dell’edilizia, i sindacati hanno più volte sottolineato che mancano diverse decine di migliaia di operai specializzati e tecnici in grado, soprattutto in relazione alle innovazioni nelle tecniche costruttive e ai nuovi materiali, di rispondere alle richieste del settore pubblico e privato. "Tra i motivi di questa carenza di manodopera specializzata c'è il persistere di un diffuso sottoinquadramento ed i salari bassi” afferma Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea. 

La tesi è confermata dai dati Ilo del 2021: per il settore, il 54% dei lavoratori è sottoinquadrato rispetto al lavoro che fa, contro una media del 34% negli altri comparti privati. Per il 40,4 % gli edili sono inquadrati come operai comuni (nonostante mediamente abbiamo almeno 10 anni di permanenza nel settore), per il 29,4% come operai qualificati e solo per il 26% sono tra il 3° e 4° livello (operai specializzati), con numeri quasi doppi rispetto a tutti gli altri settori privati.

Anche così si spiega perché i giovani non vedono nelle costruzioni un settore che possa valorizzarli e farli crescere, oltre che riconoscere il giusto salario a fronte di un lavoro, comunque più faticoso ed esposto ai rischi. “Infatti – continua Genovesi - ben l’80% dei lavoratori con meno di 25 anni è assunto con contratto a termine (quando poi, in edilizia, anche il contratto a tempo indeterminato può cessare per “fine cantiere”), e il 76% è inquadrato al 1 livello anche dopo 5 anni di permanenza nel comparto, nonostante un tasso di scolarizzazione ben più alto. Sotto i 18 anni risultano meno di mille ragazze e ragazzi (0,15% degli addetti), tra i 18 ed i 25 anni circa 32mila (6,3%) e tra i 26 e 35 anni circa 86mila (16,9%)”. 

“Insomma – conclude il segretario degli edili Cgil – serve sicuramente un Piano straordinario di formazione che, dalle scuole edili agli Its, risponda al fabbisogno di professionalità connesse all'innovazione e alla sostenibilità del costruito, alla rigenerazione su cui il Pnrr tanto scommette.”  Ma soprattutto, per Genovesi occorre "inquadrare correttamente i lavoratori, garantire nelle aziende percorsi di crescita che siano riconosciuti e valorizzati, garantire salari adeguati con importanti aumenti. Il tutto per rendere sempre di più il nostro settore un settore industriale a tutto tondo e non un ripiego".