A maggio 2021 gli occupati risultano in diminuzione di 735 mila unità rispetto a prima dell’emergenza. Il calo dell’occupazione ha riguardato all’inizio principalmente i dipendenti a termine e gli indipendenti, poi anche i lavoratori a tempo indeterminato. Nel corso della crisi il calo dell’occupazione si è accompagnato, in un primo momento, alla diminuzione della disoccupazione e al contemporaneo aumento dell’inattività. Le misure di chiusura delle attività e le limitazioni agli spostamenti hanno scoraggiato, e in alcuni casi reso impossibile, la ricerca di lavoro e la stessa disponibilità a lavorare, ma nella fase recente di moderato recupero dell’occupazione emerge un ritorno alla ricerca di un impiego. 

Cala l’occupazione soprattutto al Sud
Il calo del tasso di occupazione dei 15-64enni fra il 2019 e il 2020 è stato relativamente più forte per i giovani, le donne e gli stranieri. Si tratta di categorie di persone spesso occupate nei settori più coinvolti dall’emergenza sanitaria, con posizioni lavorative meno tutelate e nell’area del Paese – il Mezzogiorno – in maggiore difficoltà.

I settori più colpiti
Le perdite di occupati sono state particolarmente accentuate per: attività di alberghi e ristoranti (-12%), servizi alle famiglie (-9,6%), commercio (-3%) e noleggio, attività professionali e servizi alle imprese (-2,9%). Il lavoro dipendente a termine, da solo, ha assorbito oltre l’85% del calo complessivo di occupati. Tra le altre tipologie di occupazione la più colpita è il lavoro autonomo.

Aumentano le diseguaglianze
La pandemia ha accentuato le disuguaglianze: di genere, tra Nord e Sud e in relazione al livello di istruzione acquisito. Possedere un titolo di studio più elevato aumenta la partecipazione e le probabilità di essere occupati (rappresenta un’assicurazione contro la disoccupazione e l’inattività), in particolare per le donne. Inoltre al possesso di un titolo di studio più elevato si associano in media vantaggi significativi anche dal punto di vista retributivo. Le limitazioni alle attività economiche, agli spostamenti e alla socialità dovute alle misure di contrasto alla pandemia nel 2020 hanno avuto effetti sull’occupazione molto eterogenei fra i settori di attività economica.

Un Paese impoverito
Il Rapporto Istat fotografa un Paese impoverito dalla crisi, segnato da profonde diseguaglianze, anche se a partire dal primo trimestre 2021 ha già mostrato primi segnali di ripresa, in modo più accentuato rispetto al resto dell’Europa. Un Paese, tra l’altro, che a causa della pandemia ha vissuto un processo di digitalizzazione accelerata, che ha fatto in parte recuperare il gap accumulato con il resto d’Europa. La recessione globale è stata violenta e di breve durata, con un rimbalzo favorito dalle misure di sostegno e una ripresa dell’attività economica in tutte le principali economie. Il Pil italiano, dopo la caduta dell’anno passato (-8,9%) dovuta essenzialmente al crollo della domanda interna, è previsto in rialzo del 4,7% nel 2021.

La caduta della retribuzioni
Gli effetti della crisi hanno determinato nel 2020 una caduta complessiva del monte retributivo del 7,6%. L’intensità del calo è stata massima nel secondo trimestre, ma all’inizio di quest’anno si è osservata una lieve crescita tendenziale (+0,7%). Le difficoltà causate dalla crisi sanitaria hanno pesato ovviamente anche sull’attività negoziale dei sindacati. Nel corso del 2020 sono stati rinnovati solo 8 contratti collettivi nazionali a fronte dei 49 scaduti (che corrispondono all’80,2% del monte retributivo totale). Ne è risultata una crescita delle retribuzioni contrattuali orarie dello 0,6%, in rallentamento rispetto all’anno precedente.

Timida ripresa
A partire dallo scorso febbraio l’impatto della crisi è stato meno intenso, anche se la domanda di lavoro è rimasta debole. Il tasso di occupazione (15-64 anni), sceso di 1,7 punti percentuali tra febbraio e aprile 2020 (al 57,0%), ha raggiunto il minimo a gennaio 2021 (56,5%) per poi risalire fino al 57,2% a maggio. La crisi sanitaria ha penalizzato particolarmente i settori a prevalenza femminile. Di conseguenza le donne hanno sperimentato una diminuzione marcata dell’occupazione nel 2020, ma hanno beneficiato di più del recente recupero. Nel caso dei giovani, più frequentemente dipendenti a termine soprattutto nel settore terziario, il calo dell’occupazione nei primi mesi della pandemia è stato particolarmente marcato e, nonostante la dinamica molto positiva registrata nei primi mesi del 2021, lo svantaggio rispetto alle altre età è molto ampio. 

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