La road map è già fissata: oggi (mercoledì 2 settembre) la Yokohama di Chieti, venerdì 11 la Sider Alloys del Sud Sardegna, martedì 15 l’ex Embraco di Torino. E poi Jabil, Italtel, Bekaert, Baritech Operations. Sono 120 i tavoli di crisi aziendale aperti al ministero dello Sviluppo economico, 160 mila i lavoratori coinvolti. Una settantina di confronti sono aperti da più di tre anni, e ben 28 di questi da più di sette (un esempio per tutti: la Blutec di Termini Imerese). Ma una buona notizia c’è: nel 2020 il numero delle vertenze è diminuito (erano 150 nel 2019, 144 nel 2018, e circa 150-160 negli anni precedenti). Sono infatti parecchie le crisi che hanno avuto esito positivo, dalla Pernigotti di Novi Ligure all’azienda tessile Corneliani di Mantova, dalla riconversione industriale della piemontese Mahle (che passerà al gruppo della gommaplastica Imr) al colosso chimico Treofan, alla reindustrializzazione della reatina Seko (ex Elexos).

“Il governo ha gli strumenti per affrontare le crisi aziendali, ma vuole farlo cambiando però il modo di affrontare le vertenze, con un approccio sistemico che guardi non alla singola impresa ma alle filiere, ai distretti, agli ecosistemi”. È questo l’indirizzo dell’esecutivo, secondo quanto spiega la sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessandra Todde, indicando nel Fondo per la gestione delle crisi d’impresa (previsto nel cosiddetto “decreto rilancio”) e nei Contratti di sviluppo i principali “strumenti per sostenere modelli aziendali sani, ma in difficoltà”. Per la sottosegretaria “la gestione delle vertenze è strettamente correlata alle politiche industriali. Senza un approccio sistemico non si va da nessuna parte. Le filiere vanno riformate verso modelli più performanti e magari vanno prese anche decisioni sulla loro strategicità. Il ruolo del ministero dello Sviluppo economico è chiaro: lavorare al fianco delle imprese per rilanciare l'Italia”.

Rafforzare l’unità di crisi presso il ministero: questa la prima richiesta della Cgil nazionale, già portata (in un documento ufficiale) agli Stati generali di metà giugno. “Oggi dobbiamo guardare avanti, ossia a quando, esaurito l’effetto dei provvedimenti del governo, la crisi Covid inizierà a presentare il conto sul piano dell'occupazione”, spiega il dirigente Massimo Brancato, che per la Confederazione nazionale segue le vertenze aziendali: “Dovremo essere pronti a dare risposte dentro una logica di sistema, occorre prioritariamente rafforzare e qualificare l’unità di crisi”. Ma la struttura va anche maggiormente articolata, nel senso che sarebbe “opportuno coinvolgere le diverse divisioni del ministero e anche, quando necessario, gli altri dicasteri. La vicenda Whirlpool, ad esempio, non può risolverla solo il tavolo di crisi: è evidente che, di fronte al ripensamento della multinazionale americana, deve scendere in campo il governo in tutte le sue articolazioni”.

I prossimi mesi, dunque, potrebbero essere molto duri, e faranno inevitabilmente emergere la necessità di ripensare i settori industriali. “Per evitare un’emorragia di posti di lavoro – riprende Brancato – occorre potenziare gli strumenti di riqualificazione professionale e di protezione sociale oggi in vigore”. Un esempio? L’automotive. “Il settore – spiega il dirigente Cgil – è interessato da un processo epocale di cambiamento tecnologico che ha enormi ricadute sull’occupazione: una parte importante di lavoratori andrà accompagnata alla pensione, mentre un’altra parte, altrettanto significativa, avrà bisogno di un massiccio programma di riqualificazione professionale. Un intervento di sistema, dunque, che va progettato e attuato con la dovuta attenzione”.

Una battuta Brancato la riserva anche all’affermazione della sottosegretaria Todde sui Contratti di sviluppo, che il cosiddetto “decreto agosto” ha appena rifinanziato. “Lo strumento giustamente interviene sui progetti strategici per un territorio, ma occorre sottolineare che la decisione sulla strategicità di un investimento non può essere presa soltanto da aziende e pubbliche amministrazioni senza il coinvolgimento, almeno di carattere consultivo, delle parti sociali”. Un coinvolgimento che la Cgil chiede anche su un piano più generale: “Occorre identificare un luogo unificante – conclude Massimo Brancato – di tutti i tavoli di crisi aziendali, aperto alla valutazione delle parti sociali. Serve una visione d’insieme, un quadro complessivo, proprio per uscire fuori dal mero conto ragionieristico e rendere gli interventi più efficaci”.

Fare l’elenco delle imprese in difficoltà è ovviamente impossibile, ma è bene almeno ricordare quelle che hanno incontri già in calendario. Per oggi (mercoledì 2 settembre) è previsto al ministero dello Sviluppo economico il tavolo sulla Yokohama di Ortona (Chieti): la storica multinazionale giapponese di pneumatici ha comunicato la decisione di chiudere lo stabilimento di Ortona, dove produce tubi marini per il petrolio (di cui è leader mondiale), licenziando 83 lavoratori. A motivare la dismissione, che finora l’azienda ha dichiarato irrevocabile, sarebbero gli effetti dell’emergenza sanitaria, uniti alle difficoltà del mercato dell’automotive e al calo del prezzo del greggio: una chiusura fortemente avversata da istituzioni locali e sindacati, che hanno già dato vita a una mobilitazione permanente.

Segnali positivi arrivano invece per la Sider Alloys di Portovesme (Sud Sardegna). La ex Alcoa ha firmato il 22 luglio scorso il contratto con l’Enel per la fornitura di energia per i prossimi cinque anni (più altri cinque) a un prezzo competitivo, pari a 49,24 euro a megawattora. La produzione di alluminio primario (ferma dall’ottobre 2012) può quindi ripartire: il programma, per un investimento complessivo di 150 milioni di euro (di cui 7,8 a fondo perduto stanziati dalla Regione Sardegna), prevede la ristrutturazione e la riattivazione degli impianti (il cosiddetto revamping), l’inserimento di circa 370 lavoratori diretti e 70 a contratto, cui se ne dovrebbero aggiungere ulteriori 50.

Il terzo appuntamento già fissato, in agenda per martedì 15, è quello della ex Embraco di Riva di Chieri (Torino). Lo stabilimento, chiuso dalla Whirlpool nel gennaio 2018, è stato poi acquisito nel giugno 2019 dal gruppo nippo-israeliano Ventures Production per la produzione di biciclette elettriche e robot per la pulizia di pannelli solari. Ma il progetto, che prevedeva il riassorbimento dei 400 dipendenti (ora in cassa integrazione), non è mai decollato, e si è concluso con l’istanza di fallimento di fine luglio. Attualmente Invitalia, assieme al curatore fallimentare e a Whirlpool, sta lavorando per un intervento di reindustrializzazione.

Martedì 1° settembre, intanto, si è tenuto al ministero il primo incontro sulla crisi della Betafence di Tortoreto (Teramo). L'azienda ha esplicitato la volontà di chiudere le attività produttive dello stabilimento, mantenendo esclusivamente in piedi le funzioni della logistica e dell'amministrazione commerciale, motivando la decisione con la scarsa redditività degli impianti. Una presa di posizione contestata da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil, che hanno invece evidenziato come “in questi anni i lavoratori abbiano sempre raggiunto gli obiettivi aziendali, addirittura superando il 100 per cento”, riscontrando invece “evidente che la scelta aziendale risponderebbero a logiche esclusivamente finanziarie, senza riferimenti specifici dal punto di vista industriale”. Nel prossimo incontro, che il ministero convocherà a breve, l’azienda si è impegnata a “fornire tutti i dati che possano consentire un confronto nel merito, volto a trovare una soluzione che garantisca la continuità produttiva e occupazionale”.