Torna in primo piano l’annosa questione dei lavoratori frontalieri italiani, con l’audizione dei sindacati da parte della Commissione speciale Italia-Svizzera presso la Regione Lombardia, richiesta in seguito all’accordo relativo all’imposizione fiscale dei frontalieri, a firma delle presidenze della Lombardia e del Canton Ticino e inviata al ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. L’intesa vedrebbe abrogare le norme del 1974 e la sostituzione con un documento peggiorativo rispetto al nuovo accordo del 2015.

Come ha dichiarato il responsabile di settore della Cgil lombarda, Giuseppe Augurusa, insieme con i colleghi di Cisl e Uil, Mirko Dolzadelli e Pancrazio Raimondo, si tratta di un’iniziativa impropria per metodo e merito, perché secondo la Costituzione la competenza sulla materia fiscale è del governo centrale, quindi il tema deve essere discusso nell’ambito della conferenza Stato-Regioni. Augurusa ci spiega poi che l’accordo 2015, ancora non recepito dall’Italia, viene modificato il precedente regime fiscale, secondo il quale i circa 67 mila lavoratori frontalieri pagano le tasse in Svizzera (dove lavorano) e Berna ne ristorna il 38,8 per cento all’Italia a titolo di compensazione delle spese sostenute da coloro che ogni giorno vanno a lavorare nel territorio elvetico. La quota viene poi destinata ai comuni italiani di frontiera per finanziare le opere pubbliche necessarie per il territorio e con l’accordo del 2015 tali fondamentali risorse verrebbero meno.

I sindacati, nell’incontro in Regione, hanno presentato un documento articolato con una serie di osservazioni all’accordo che riguardano il periodo di transizione, il tema tassazione speciale, le misure anti dumping (il dumping che rischiano i lavoratori italiani rispetto agli svizzeri). Altri temi sono la gestione dei ristorni che la Lombardia vorrebbe amministrare, i maggiori introiti che arriverebbero alla Svizzera dalle nuove norme e il doppio binario che si prospetta tra vecchi e nuovi frontalieri. In autunno Cgil, Cisl e Uil della Lombardia presenteranno un progetto di legge per avere una maggiore definizione per tutto il settore e, nel contempo, viene quindi chiesto, uno Statuto dei lavoratori frontalieri, per i quali mancano un contesto giuridico definito (al momento esiste solamente un regolamento europeo sulla sicurezza sociale), un monitoraggio e una ricognizione degli accordi bilaterali tra Stati.

Giuseppe Augurusa sottolinea infine un’altra particolarità: esiste una sorta di dissociazione di fatto tra rappresentanza sindacale e presenza fisica, perché i frontalieri lavorano all’estero ma hanno il sindacato in Italia, con le evidenti disfunzioni che una simile situazione può creare. Spesso si è in presenza di una doppia affiliazione, vale a dire l’iscrizione alla Cgil italiana e, nel contempo, anche all’Unia svizzera, per persone che poi usufruiscono dei servizi nella località nella quale vivono. Un problema ancor più sentito durante i mesi di lockdown dovuto alla pandemia, quando i frontalieri si sono trovati a dovere scegliere se perdere il lavoro, oppure la salute.