“Licenziato per un colpo di tosse” è il titolo che ha portato questa vicenda alla ribalta. Ripresa e rilanciata da tv, giornali e siti, affamati di notizie “originali” sul coronavirus. E in effetti il colpo di tosse nella storia c'è – o meglio, ci è entrato – ma la vicenda che ha visto come protagonista Simone, operaio della PreGel di Reggio Emilia - 300 dipendenti che fanno semilavorati per la gelateria - è molto più di questo: uno vero manuale di studio sulle relazioni sindacali.

Simone è il primo delegato nella lunga storia di questa fabbrica. Viene nominato Rsa (rappresentante sindacale aziendale) dalla Flai Cgil, alla quale è iscritto, nell'ottobre 2019. Ma questo avviene dopo un lungo percorso di “avvicinamento” da parte del sindacato, in una fabbrica dove storicamente non c'è mai stata rappresentanza dei lavoratori. “Siamo riusciti a fare 30 tessere – ci racconta Giovanni Velotti, segretario della Flai Cgil di Reggio Emilia – attraverso un lavoro molto faticoso, fatto di assemblee e incontri spesso fuori dall'azienda, nelle nostre sedi sindacali e dopo l'orario di lavoro”.

Una volta diventato rappresentante sindacale Simone comincia a fare il suo “mestiere”: avanza richieste, in particolare sul diritto alla mensa, ascolta i colleghi, segnala criticità. Ma quasi subito arriva il coronavirus e si entra in una fase nuova, anche per l'attività sindacale. E qui arrivano anche i problemi: il 16 marzo il delegato viene convocato dall'azienda per la riunione del comitato previsto dal protocollo nazionale sul contrasto al coronavirus. Lui, prima di incontrare i suoi capi, gira per i reparti, raccoglie suggerimenti e preoccupazioni, individua criticità, che all'inizio dell'emergenza sono diffuse, come in tutto il settore alimentare (che non si è mai fermato), e poi le riporta nell'incontro. Ma nel verbale che viene stilato al termine della riunione non c'è traccia delle sue osservazioni, così come non si fa cenno al suo ruolo di Rsa.

“È esattamente qui che nasce il problema – spiega ancora Giovanni Velotti – perché insieme al lavoratore decidiamo di non firmare quel verbale e di scrivere una mail all'azienda con tutte le nostre osservazioni, chiedendo che siano inserite nel documento. Loro non rispondono, anche se poi di fatto realizzeranno praticamente tutto quello che chiedevamo. Ma resta il fatto che ci appare evidente la volontà di non riconoscere il ruolo e il contributo del nostro delegato”.

Nei giorni successivi, poi, le attenzioni su Simone aumentano. La Flai Cgil parla di vero e proprio “dossieraggio”, finalizzato a trovare falle e irregolarità nel suo comportamento sul lavoro. E il risultato non tarda ad arrivare. Simone riceve infatti due lettere di contestazione da parte dell'azienda nella quale - riferisce ancora  Velotti - vengono stigmatizzati tre episodi: il primo è il famoso colpo di tosse a volto scoperto (“nient'altro che uno scherzo verso un collega”, secondo la Flai), il secondo è un “pettegolezzo” riportato dal delegato su un caso di coronavirus registrato in un cantiere esterno dell'azienda; il terzo – il più grave – è una presunta violazione del segreto industriale, tema rispetto al quale – capirà poi la Flai – l'azienda è particolarmente sensibile a causa di episodi avvenuti in passato.

Fatto sta che con la seconda lettera, alla vigilia di Pasqua, arriva il licenziamento, senza alcun passaggio con il sindacato, nonostante il destinatario del provvedimento sia appunto un delegato. Simone accusa il colpo: è padre di un bambino piccolo e sua moglie è incinta, il suo è l'unico reddito che entra in famiglia, la situazione è chiaramente molto delicata. Anche per questo la reazione della Cgil è estremamente decisa.

“Il giorno di Pasqua lo abbiamo passato al telefono con i nostri tre avvocati – racconta ancora Velotti – essendo pronti non solo ad impugnare il licenziamento, ma anche a denunciare la condotta antisindacale dell'azienda. Bisogna dire poi che in sostegno di Simone si è mossa subito la politica, dai consiglieri comunali fino ai parlamentari, come Nicola Fratoianni, il cui impegno in questa vicenda va sottolineato”.

Pian piano, grazie a questa mobilitazione, la situazione comincia a sbloccarsi. A incidere è anche l'intervento del segretario della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, Ivano Bosco che esce sui giornali e chiama in causa Confindustria: “A quel punto – ci dice lo stesso Bosco - l'associazione industriali e la stessa azienda capiscono che la situazione va gestita, perché noi non intendiamo fermarci davanti a un'ingiustizia simile. Licenziare un lavoratore, delegato sindacale, che chiede sicurezza per i suoi colleghi in piena emergenza coronavirus è davvero troppo”, sottolinea il segretario. Così, Confindustria si fa promotrice del confronto tra azienda e sindacato e la situazione rientra nei canoni delle normali relazioni sindacali, fino ad arrivare, il 27 aprile, ad un accordo per la reintegra del lavoratore, con cambio di reparto, ma mansioni equivalenti.

“Alla fine la vicenda si è chiusa bene, ha prevalso il buon senso – conclude Velotti – e siamo certi che non ci saranno ritorsioni sul nostro delegato che ha già ripreso il suo lavoro sindacale da dove lo aveva lasciato, cioè dal protocollo sulla gestione del rischio coronavirus”. “Speriamo che questa vicenda insegni qualcosa a tutti quanti – conclude Ivano Bosco – alle aziende, a noi sindacalisti e magari anche ai compagni di lavoro di Simone: avere o non avere un sindacato in fabbrica può fare davvero la differenza”.