Sono arrivati dall’India perché volevano trovarsi nel luogo dove il loro figlio è stato ucciso. Sono venuti in Italia per ricordarlo e commemorarlo a un anno dalla morte. Sono qui in visita, forse anche per capire come sia potuta succedere una cosa del genere in un Paese che si definisce evoluto e civile.

Una morte tremenda

La madre e il padre, con il fratello e la sorella di Satnam Singh, bracciante di 31 anni che ha perso la vita nei campi dell’Agro pontino nel giugno del 2024 perché abbandonato dal datore di lavoro dopo un terribile incidente, sono in Italia. Aiutati e sostenuti dalla Cgil, che in questi mesi è sempre rimasta in contatto con loro e con la moglie Soni, i famigliari chiedono verità su una morte tremenda, indicibile.

In questi giorni hanno incontrato le istituzioni, prefetti, sindaci, il presidente della Regione Lazio, parlamentari, hanno partecipato a un’udienza del processo per omicidio che si sta celebrando a Latina e oggi (17 luglio) incontrano il segretario generale della Cgil Maurizio Landini nella sede di corso d’Italia, in un’iniziativa contro il caporalato e lo sfruttamento, perché non ci siano mai più altri Satnam.

Regione Lazio

Gurmukh Singh e Jasveer Kaur

Gurmukh Singh e Jasveer Kaur all’Italia, a noi, a tutti noi, chiedono giustizia. Satnam è stato lasciato morire. Un macchinario gli aveva tranciato il braccio e il suo datore di lavoro, Antonello Lovato, anziché soccorrerlo e portarlo in ospedale, lo ha lasciato esangue davanti alla sua casa, scaricando anche l’arto messo in una cassetta. Dopo 36 ore di agonia, il 19 giugno, Satnam è morto. I medici del San Camillo hanno detto che se fosse stato soccorso in tempo, si sarebbe potuto salvare. Ma non è accaduto.

Il tribunale di Latina deciderà se si è trattato di omicidio, nel processo che si è aperto il primo aprile scorso, nel quale si è costituita parte civile anche la Cgil, insieme alla sua categoria Flai, l’unica organizzazione sindacale.

Le mobilitazioni

Da quel 19 giugno la Cgil si è mobilitata per Satnam e per chiedere azioni concrete. Uno sciopero nel settore agricolo, una manifestazione, iniziative e poi l’aiuto ai familiari, le denunce, la richiesta continua e insistente di cambiare un sistema di produzione in cui il profitto e la riduzione dei costi toglie umanità e dignità al lavoro e ai lavoratori, un modello di fare impresa che sfrutta e uccide. Fondamentali sono la piena applicazione della legge regionale contro il caporalato, la 199 del 2016, e il controllo sull’effettiva applicazione delle ordinanze che vietano lo svolgimento delle attività agricole nelle ore più calde della giornata.