Chilometri e chilometri di baracche in lamiera e mattoni che con il caldo si infuocano, strade sterrate, cumuli di rifiuti, ogni tanto uno spaccio improvvisato. Anche se ne hai letto, lo hai visto nei reportage, te l’hanno raccontato, a vederlo con i tuoi occhi il ghetto di Borgo Mezzanone è un’altra cosa. Lo chiamano insediamento informale, nella realtà è una favela, una baraccopoli auto-organizzata abitata da 5 mila persone alle porte della civiltà.

Siamo in Puglia, a venti minuti da Foggia. Qui se c’è un’emergenza l’ambulanza non entra. Qui l’acqua viene portata dalle cisterne a giorni alterni. Qui non ci sono elettricità né servizi igienici. In pratica non ci sono le condizioni per garantire il benessere fisico, mentale e sociale a cui ogni essere umano ha diritto.

5 mila abitanti

I 5 mila abitanti sono tutti immigrati, 1.500 sono donne. Vengono dal Mali, dal Senegal, dal Ghana, dalla Nigeria, dal Burkina Faso. L’80 per cento lavora come bracciante nei campi vicini, la gran parte non ha i documenti in regola e quindi non può muoversi, spostarsi. È come se fossero reclusi, in gabbia. Se avessero i documenti, potrebbero avere una casa, l’assistenza sanitaria, la possibilità di viaggiare fuori dall’Italia: avrebbero la dignità.

Vite da ghetto

Mohamed Lowe lascia il Gambia nel 2013 per la Libia. L’anno dopo in Sicilia, nel Cara di Mineo per tre mesi, dove perde un figlio. Quindi approda a Lecce nel 2016, in Germania fino al 2017. Torna in Italia e finalmente ottiene i documenti. L’anno dopo va in Gambia a trovare la sua famiglia. Di nuovo in Italia, di nuovo a Lecce in un ristorante per nove mesi.

Dopo il Covid si ritrova senza lavoro, gli amici lo chiamano a Borgo Mezzanone dove si trasferisce per fare il meccanico, ma è impiegato anche nei campi. Poi la Flai Cgil lo aiuta a trovare un lavoro migliore a Foggia. Adesso ha una casa in affitto, sta bene, dice. E ogni tanto va a trovare i suoi amici al ghetto il sabato e la domenica. “Qua è brutto, i bagni non ci sono, a Lecce vivevo in una casa normale – spiega Mohamed -. Ho un figlio di 14 anni, mia moglie è incinta di sette mesi, spero che vada tutto bene. L’importante è non stare più qua, sono felice di essermene andato via”.

Nemmeno in Africa

Mass Diope è senegalese, è in Italia da quando aveva 29 anni. Vive nel ghetto di Borgo Mezzanone dal 2018. È qui per lavorare in campagna, raccoglie quello che c’è da raccogliere, pomodori, peperoni, peperoncino, meloni. Guadagna 25-30 euro al giorno. “Sono venuto qui per aiutare la mia famiglia in Africa – confessa -. Ma quello che ho visto qui, quello che c’è qui, non l’ho mai visto in Africa”.

La parola chiave per Mamadou Sarafou Diallo è documenti: se non li hai, non puoi fare niente, se non li hai, non hai diritto a niente. “Mangiare, casa, contratto, luce, acqua, tutto è un problema” dice. Puoi solo vivere in un limbo come il ghetto di Borgo Mezzanone, condannato a stare qui dentro.