Nella recente Relazione al Parlamento dell’Autorità Nazionale Anticorruzione il racconto dello stato di salute dell’economia legata agli investimenti pubblici e degli anticorpi che costruiscono legalità. Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, illustra gli strumenti che contrastando corruzione e illeciti contribuiscono allo sviluppo del Paese, alla coesione sociale e alla democrazia.

L'Italia continua a essere un Paese arretrato rispetto agli altri europei nella classifica della corruzione, benché, va detto, negli ultimi anni sia notevolmente migliorato. Come incide questo tasso di corruzione rispetto a sviluppo ed economia del Paese?
La corruzione è un tarlo che corrode. Corrode l'economia, corrode la società. Incide negativamente anche sugli investimenti esteri, perché le imprese straniere investono se hanno un paese che garantisce che non ci sia corruzione. Ma, soprattutto, la corruzione ha costi sociali e costi democratici altissimi perché colpisce soprattutto i più deboli. Un’alta corruzione si paga in termini di minori servizi sociali e quindi il costo maggiore della corruzione lo pagano quanti non possono permettersi sanità e istruzione privata, ad esempio. E così si viola anche l'articolo 3 della Costituzione, minando il principio di uguaglianza. E poi colpisce il merito perché, nel momento in cui qualcuno passa avanti, salta la fila, ottiene quello che non è gli è dovuto, perché trucca le competizioni, impedisce che i singoli o le imprese sane siano premiati per quanto meriterebbero. Insomma, la corruzione fa venir meno la coesione sociale. Si sta insieme, si è società, se si sa che l'altro rispetta le stesse regole. Se qualcuno le viola, viene meno l'idea stessa dello stare insieme, viene meno la fiducia nelle istituzioni che è il bene più prezioso, il bene di cui oggi abbiamo quanto mai bisogno. Se le istituzioni non riescono a garantire correttezza e legalità, i cittadini perdono la fiducia nelle stesse. È questo il costo più alto che paga il Paese.

La corruzione è anche considerato uno dei reati sentinella rispetto all'infiltrazione delle mafie nell'economia sana. Le risorse in arrivo dall'Europa sono cospicue. Che rischi stiamo correndo?
I rischi ci sono e sono elevati. Avere tanti soldi da spendere in fretta, la possibilità di usare tante deroghe alle procedure ordinarie, riducendo così la possibilità, anche materiale, di fare i controlli, creano e aumentano il rischio. Gli appetiti della criminalità ordinaria e di quella organizzata sono tanti, e da tempo le mafie dirigono i propri interessi verso l'economia legale. Gli appalti pubblici sono, in particolare, uno degli dei terreni di elezione, non solo per riciclare, ma anche per arricchirsi, per penetrare il tessuto imprenditoriale e darsi una veste presentabile. Quindi i rischi sono tanti: per questo, abbiamo chiesto fin dall'inizio di compensare la rapidità necessaria con maggiore trasparenza, con maggiore controllabilità. E poi, è bene ricordare, che al di là del rischio della grande corruzione, c'è quella più spicciola e l'una può favorire l'altra. Ancora, nelle gare c'è un ulteriore rischio, apparentemente meno grave ma percentualmente più significativo, quello degli sprechi. Utilizzare male le risorse, non usarle per il fine a cui sono dirette, per investimenti produttivi, sciuparle in investimenti che non producono e che quindi pesano come debito per le generazioni future. E questo, dal punto di vista economico, vale percentualmente di più. Tutto ciò, tenendo conto che anche la parte delle risorse del Pnrr data a fondo perduto costituirà debito, che dovremo restituire attraverso i nostri contributi al bilancio europeo.

Tra le vittime della corruzione e delle infiltrazioni della criminalità organizzata ci sono anche lavoratori e lavoratrici. Come tutelarli?
La corruzione intacca i loro diritti: nell’ambito dei contratti pubblici, la tutela, viene da diverse disposizione del codice che vietano di scaricare i ribassi sulla manodopera e richiedono il rispetto dei contratti collettivi nazionali di settore. Ovviamente, per quanti lavorano negli appalti pubblici, la tutela viene anche dalla trasparenza, che bisogna garantire sui contratti che le imprese utilizzano. Il rischio maggiore si crea quando si allunga la catena di subappalti. Quella del subappalto a cascata è pratica che la giurisprudenza comunitaria consente. Tuttavia, salvi i casi in cui sia giustificata dal tipo di lavorazione specializzata, nella maggiore parte dei casi la catena abbassa sempre di più il costo, che viene scaricato sulla qualità di ciò che si produce o sul servizio che si eroga, o sulle condizioni e sul salario dei lavoratori. Per questo, è importante che nel nuovo Codice degli appalti sia stata mantenuta la responsabilità solidale fra appaltatore principale e subappaltatori, che noi avevamo suggerito già in precedenti decreti. Altro elemento fondamentale, per la tutela dei lavoratori e lavoratrici, inserito è il vincolo di applicare il contratto collettivo indicato dalla stazione appaltante o uno che garantisca le stesse tutele: non basta una generica equivalenza. Occorrerà vigilare affinché lungo che la catena dei subappalti il vincolo contrattuale venga rispettato.

Se è vero che negli ultimi due anni, come attesta la vostra relazione, sono aumentati e di molto gli investimenti pubblici, a che punto siamo invece, con l'utilizzo delle risorse del Pnrr?
Siamo abbastanza indietro. Anche dall'ultima relazione del Governo al Parlamento si evince che a fine febbraio avevamo speso circa 25 miliardi di euro, che corrispondono a circa il 14% dell'ammontare complessivo. In più, noi siamo riusciti a ottenere questa percentuale, solo perché alcuni degli appalti che abbiamo inserito nel Piano erano già avviati, e in gran parte ciò che è stato realizzato è stato svolto dalle Grandi Stazioni appaltanti. Ora la strada è in salita, e pure ripida. Sarà essenziale verificare davvero tutti gli investimenti, anche dal punto di vista della capacità di produrre sviluppo di lungo periodo. E, nel caso in cui ci si rendesse conto che qualcuno non funziona, sostituirlo, magari spostando questi investimenti su altri fondi europei, sui quali pure – per altro - siamo in ritardo con gli investimenti. Ma soprattutto, se, come serve al Paese, vogliamo portare a casa il Piano, dobbiamo ritrovare un clima di coesione piena, di impegno di tutte le istituzioni, di tutti i livelli territoriali, del sistema pubblico e di quello privato.  Occorre evitare le polemiche di corto respiro e abituarsi a usare questo Piano, come dovremmo usare anche il nuovo Patto di stabilità e di crescita, che sarà basato sullo stesso meccanismo istituzionale, come un percorso condiviso, che supera i cicli politici e i governi volta per volta responsabili, prescinde dal loro colore politico, per garantire risultati che sono del Paese e non delle diverse maggioranze che si alternano alla guida del Paese.

Presidente, quali sono, a suo giudizio, le ragioni di questi ritardi?
In primo luogo la scarsa capacità amministrativa. Negli ultimi decenni l’amministrazione si è progressivamente indebolita e oggi non si sta mostrando in grado di affrontare una sfida tanto impegnativa: abbiamo bisogno di potenziarla. Per questo, lo abbiamo detto fin dall'inizio, il vero investimento è quello di puntare sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, che vuol dire far fare le gare solo a chi è davvero in grado di gestirle, facendo crescere al contempo una rete di centrali di committenza diffuse sul territorio e specializzate, in grado di gestire i contratti per le amministrazioni più piccole, non in grado di muoversi efficacemente da sole.   Al di là dell’organizzazione, l’investimento più importante resta quello sulle persone. Occorre assumere funzionari capaci, pagarli bene per attrarli e perché non vadano via, perché il loro lavoro vale. Solo affidandosi a persone capaci, gli investimenti portano frutto, si fanno più in fretta e creano ricchezza per il futuro. Se invece abbiamo personale adeguato, non solo rischiamo di non rispettare i termini del Pnrr, ma anche di sprecare i soldi, scaricando sui giovani e sulle future generazioni debito ulteriore. Infine, c’è una questione che riguarda lo stesso tessuto imprenditoriale, che non sempre si dimostra capace di dare risposta alla domanda pubblica. Il Pnrr deve servire a far entrare tante piccole e medie imprese nel mercato dei contratti pubblici, spegnendole a strutturarsi meglio e a qualificarsi.

Spesso, però si sente ripetere che le procedure della trasparenza e controllo sono causa del rallentamento dell'avvio dei lavori e della capacità di spesa. Lei condivide questa affermazione?
No. Innanzitutto i controlli sono indispensabili, indispensabili in una democrazia; sono un elemento essenziale richiesto dallo stesso Pnrr, e servono anche per rendersi conto meglio di cosa si sta facendo ed eventualmente cambiare rotta in tempo, se qualcosa non funziona. Noi lo facciamo con la vigilanza collaborativa: su richiesta delle stazioni appaltanti, stipuliamo un protocollo e definiamo quali altri atti verificare prima della firma, dando risposte entro pochi giorni. Questo accelera le procedure, riduce, fino a quasi ad azzerarlo il contenzioso. A volte i rallentamenti sono causati dalla scarsa chiarezza normativa: in certi casi disposizioni non definiscono i confini della discrezionalità, che invece è sempre giusto lasciare al funzionario. È quando questi confini non sono chiari, si ha la cosiddetta paura della firma. Essa dipende quindi dal legislatore, non dai controlli. Per la stessa ragione, è sbagliato eliminare la responsabilità per i casi di colpa particolarmente grave: se ci sono delle disposizioni da specificare, facciamolo e definiamo i confini della responsabilità, ma non eliminiamola e non eliminiamo i controlli.

Tra gli obiettivi di Nex Generation Eu vi è quello di ridurre i divari tra generi e generazioni, oltre che i divari territoriali. Il Pnrr prevede che negli appalti, non riguardano solo le infrastrutture è bene ricordarlo, ma anche i servizi, una riserva di posti debba essere destinata all'occupazione giovanile e femminile. Certo, la clausola non è proprio stringente, ma mi pare che sia molto poco rispettata...
Il Paese, per crescere, ha bisogno di maggiore occupazione femminile e giovanile. Quindi è un obbiettivo che va anche al di là del Pnrr ed è giusto perseguirlo con i contratti pubblici, per non rinunciare a una parte importantissime di risorse - donne e giovani - che sono fondamentali per lo sviluppo del Paese. Purtroppo i nostri dati dicono che nel 60% dei contratti sopra i 40.000 € si è utilizzata la deroga alla riserva di posti per occupazione giovanile e femminile. Se guardiamo tutti i contratti si è usata la deroga nel 70% dei casi, per altro, quasi sempre senza una motivazione specifica. Ebbene, probabilmente è stato saggio non introdurre da subito regole troppo rigide che, soprattutto in alcuni settori (pensiamo all’edilizia per quanto attiene all’occupazione femminile), non avrebbero trovato imprese in grado di rispettare tale vincolo. Tuttavia, dobbiamo sapere che l'obiettivo è giusto e necessario, e che quindi bisogna via via accompagnare e spingere le imprese ad assumere donne e giovani. È un interesse nazionale. E gli appalti pubblici sono - debbono essere - anche strumento di cambiamento sociale. D'altra parte, sta scritto nella Costituzione, ancora una volta nell'articolo 3, che spetta alla Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento di una effettiva parità fra uomini e donne, anche con riferimento alla loro realizzazione economica e sociale. E questo deve avvenire, non con interventi di forma, ma “di fatto”; come indicato nel secondo comma dell'articolo 3, grazie ad un emendamento proposto da una donna eletta all’Assemblea costituente, Teresa Mattei: è bello mi piace ricordarlo oggi che si celebra il 75esimo anniversario della nostra Carta fondamentale. Ed è proprio ciò che dobbiamo fare attraverso clausole come queste: usare i contratti pubblici per inserire di fatto le donne e i giovani all'interno delle imprese.

 Presidente, tra le riforme previste dal Pnnr c'era appunto il nuovo codice dei contratti pubblici, più conosciuto come codice degli appalti. All'interno di questa riforma sono state inserite due questioni di una, in qualche modo ne ha parlato quella del subappalto a cascata, l'altra è quella che prevede l'innalzamento e di molto dell'affidamento diretto. Due cosiddette innovazioni che la Cgil critica.
L’innalzamento delle soglie è stato introdotto durante l’emergenza pandemia. Ma l'emergenza non deve diventare regola, tanto più che il nuovo codice non si applica solo al Pnrr, ma nell'ordinarietà. Prevedere che sistematicamente, anche quando non c'è fretta, si possano affidare servizi, comprese le consulenze, o acquistare beni fino a 140.000 € senza consultare nessun preventivo; come pure prevedere che non sia necessario pubblicare un bando o un avviso per i lavori fino a 5 milioni di euro, vuol dire ridurre, e di molto, la trasparenza. E la trasparenza non rallenta: consente alle stesse imprese di sapere che una stazione appaltante ha bisogno di determinate prestazioni, e consente all'amministrazione di selezionare le imprese migliori.  Se le imprese non sanno o non possono partecipare a una determinata selezione, perché è l'amministrazione sceglie chi vuole, non sono premiate le imprese più dinamiche e capaci, ma quelle più vicine al decisore pubblico. E anche quando non si realizzano casi di corruzione, si richiamo forme di clientelismo. In più, il committente pubblico, poiché non seleziona le imprese migliori, non ottiene il servizio migliore, oppure spende più di quanto avrebbe pagato se vi fosse stato un confronto competitivo.  Siamo stati noi i primi a proporre alcune soluzioni per accelerare le procedure e risparmiare tempo. Tuttavia, non basta concentrarsi sul “quando”, non basta fare in fretta, ma occorre anche fare bene, in modo da coniugare rapidità con controllabilità, concorrenza e qualità.

E infine presidente, l'Anac ha siglato con le organizzazioni sindacali un protocollo d'intesa. Qual è lo scopo? Funziona?
È un protocollo molto importante, lo scopo è proprio quello di dialogare coi soggetti che rappresentano i lavoratori perché i contratti pubblici sono uno strumento anche di cambiamento e di innovazione sociale, non solo per quello che dicevamo la spinta verso l'occupazione femminile o giovanile, ma in generale per la tutela dei diritti. E proprio i contratti pubblici devono essere il terreno del rispetto dei diritti. L’Osservatorio che abbiamo istituito con le organizzazioni sindacali è elemento essenziale per realizzare la nostra funzione al meglio, per avere il polso di chi opera all'interno dei contratti e avere uno scambio continuo.