Sembra la trama di un libro di Saramago, invece è tutto vero: manifestazioni culturali, eventi e spettacoli di qualsiasi natura sono sospesi fino al 3 aprile. Tranne quelli che, come stabilisce il decreto del Presidente del consiglio dei ministri firmato ieri (4 marzo), comportino un affollamento tale da rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro. Il che equivale ad annullarli tutti, dal momento che un concerto, uno spettacolo o una proiezione in cui gli spettatori in sala riuscissero a mantenere questa distanza, sarebbero da considerarsi comunque un insuccesso. Il provvedimento getta nello sconforto migliaia di produzioni, agenzie, set e lavoratori già colpiti dalla precedente sospensione.

Seppur limitata alle zone rosse e gialle, infatti, ha generato un effetto domino di cancellazioni preventive per il timore delle sale vuote, considerato l’invito partito dal governo a limitare le interazioni sociali e a rimanere il più possibile a casa. Oltre 7.400 tra concerti e spettacoli e più di 10 milioni di euro sono già andati in fumo e la cifra è destinata a salire. Una sospensione così lunga non si verificava dal 1942, quando gli spettacoli dal vivo si fermarono per tre anni a causa della guerra. E se andiamo più indietro nel tempo, la memoria ci riporta ai periodi di Quaresima durante il Medioevo.

La Slc Cgil, Agis e Federvivo hanno chiesto al ministro dei Beni e delle Attività culturali l’apertura dello stato di crisi e provvedimenti per sostenere e rilanciare. Franceschini ha comunicato la creazione di un tax credit rafforzato per il cinema e il finanziamento di progetti speciali con i 10 milioni già stanziati dalla legge di bilancio per l’incremento del Fondo Unico dello Spettacolo. Ma queste misure, pensate per le zone rosse, ora non bastano più. I centri di produzione e le compagnie di tutto il paese si vedranno azzerare l’attività per un periodo molto più lungo di quello di chiusura e i mancati introiti si tradurranno in una diminuzione dei contributi pubblici per i numeri non realizzati. Le conseguenze ricadranno sull’intera filiera, anche quelle indirette legate alla chiusura delle scuole.

Saltano i matinée che hanno per spettatori gli studenti, i laboratori teatrali, musicali e artistici realizzati con le classi, dalle elementari agli istituti superiori. Si fermano i laboratori rivolti agli amatoriali e tenuti dai professionisti, spesso nei teatri e dunque importante fonte di reddito, insieme all’affitto delle sale alle compagnie, per le prove. Se le grandi produzioni e i festival, sia in ambito teatrale che musicale, avevano già cancellato molte date, il circuito dei teatri off e delle associazioni culturali ha messo in atto per due settimane una resistenza coraggiosa, a colpi di repliche confermate e battage sui social network, per invitare gli spettatori a non avere paura.

Ma questo Dpcm ferma anche loro. Il prezzo da pagare è altissimo per questi lavoratori, intermittenti per natura e quindi altamente esposti al rischio di licenziamento per giustificato motivo a causa della crisi causata dal covid-19. Anche se il decreto legge n. 9/2020 ha riconosciuto gli ammortizzatori sociali in deroga per un mese, anche al di fuori della “zona rossa”, quello della cultura è un mondo fatto per lo più di invisibili. Autonomi, precari, atipici, finte e vere partite iva, collaboratori a progetto, gli artisti e gli operatori culturali non hanno quasi mai rapporti di lavoro subordinati. Per loro, con gestione ex-Enpals, non valgono le misure rivolte agli altri autonomi a gestione separata.

L’indennità di malattia non viene loro riconosciuta dal primo giorno, ma è richiesto il versamento minimo di 100 giornate di contributi dal gennaio dell’anno precedente. L’indennità di disoccupazione Naspi non tiene conto, per il conteggio, delle giornate di lavoro per prove. Tournée e concerti cancellati, progetti rimandati a data da destinarsi. Artisti, maestranze e lavoratori dei beni culturali tremano a ogni telefonata piena di “non so, vedremo, dobbiamo capire”, che per loro significa dover rinunciare a una fonte di reddito, dover rivedere i propri impegni lavorativi. Nella maggior parte dei casi, rimanere in attesa, come di Godot.