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Con il congresso di Bari, la Cgil ha sancito la strategia di riforma del modello di sviluppo nazionale e, più in generale, del modello capitalistico, di cui il Piano del lavoro è portatore. Non a caso, il primo richiamo si trova proprio nella prima riga della prima pagina del documento congressuale “Il Lavoro è”, il cui lancio nelle assemblee di base aveva come obiettivo prioritario quello della partecipazione degli iscritti, delle lavoratrici e dei lavoratori, dei pensionati, delle Rsu, ma anche di tutti i dirigenti della nostra organizzazione. Ed è proprio la partecipazione la parola chiave che, (almeno) nei prossimi quattro anni, il nostro sindacato si è impegnato a declinare attraverso l’idea di inclusività, che dovrà permeare tanto l’elaborazione politica quanto la contrattazione collettiva. Tanto più a fronte della torsione nazionalista e populista generata dalla nuova “grande trasformazione”, in tutte le proposte avanzate ai governi come in tutte le istanze contrattuali, il sindacato deve rilanciare i momenti di democrazia deliberativa, per i quali le decisioni della rappresentanza eletta (top down) devono corrispondere ai bisogni espressi dalla base (bottom up), anzi dalle basi.
In tal senso, il Piano del lavoro, oltre a rappresentare una politica economica, sociale e ambientale alternativa al liberismo e all’austerità, sin dal 2013 introduceva un nuovo metodo, una nuova interpretazione della stessa confederalità, che comporta la necessità di tessere reti e alleanze. Alla base della contrattazione dello sviluppo e della programmazione negoziata, infatti, insiste l’intraprendenza ad andare oltre i confini sindacali tradizionali, oltre gli stessi luoghi di lavoro, tracciando una condivisione delle priorità, dei progetti e delle stesse istituzioni per una nuova idea di cittadinanza e, di conseguenza, di Stato sociale. Se, però, lo scopo della contrattazione territoriale dello sviluppo è principalmente quello di affiancare la tradizionale contrattazione sociale per promuovere gli investimenti, la creazione di lavoro e l'aumento dei salari, un sistema di alleanze può altresì essere esteso a finalità anche più ambiziose.
Un importante esempio possiamo ritrovarlo nella manifestazione Sei1dinoi dello scorso 1° dicembre a Roma, indetta a seguito dell’approvazione del cosiddetto “Decreto sicurezza e immigrazione”, con cui la Cgil e tante altre associazioni e movimenti hanno espresso la loro idea di cittadinanza, di condivisione e di inclusività. A dettare il passo del corteo sono stati gli slogan di civiltà e giustizia sociale, ma il pensiero che correva dietro il fiume di persone riguardava una visione di sviluppo e di welfare della città, in cui la lotta alle disuguaglianze passa per il riconoscimento del lavoro, di un salario, di un reddito, di un fisco equo, di servizi pubblici universali, di politiche sociali, di sostenibilità ambientale, di sviluppo urbano e di diritto all’abitazione, attraverso i quali può essere agevolmente declinato il diritto all’accoglienza per i migranti. E tali diritti e obiettivi si fondano sull’eguaglianza, la solidarietà, l’universalità, la giustizia sociale, l’accoglienza e la stessa partecipazione, esattamente come previsto dalla nostra Costituzione.
Nel medesimo spirito del Piano del lavoro, dunque, beni comuni e innovazione sociale sono obiettivi verosimilmente raggiungibili se, e solo se, poggiati su una nuova democrazia economica, ovvero su una ridefinizione dei rapporti di forza. L’aumento delle disuguaglianze – a partire dalla distribuzione del reddito tra capitale e lavoro – rappresenta ancora la principale causa della recessione, della depressione e della deflazione, nonché dell’instabilità del modello di sviluppo. Le politiche liberiste, élitarie e tecnocratiche, ne hanno permesso l’irruzione nei bastioni della società tanto quanto della politica, generando un’onda d’urto per la stessa democrazia. Bisogna ripartire da qui, per invertire la tendenza.
Per essere davvero conseguenti con l'analisi del fenomeno, ecco allora che alla dichiarazione di lotta alle disuguaglianze deve corrispondere una proposta democratica generale, politica e contrattuale. Probabilmente, mai come in questa fase storica (bisognerebbe risalire al dopoguerra, per riscontrare alcune analogie) la forza lavoro e la stessa composizione del reddito individuale risulta costruita in modo articolato. Tale affermazione si riferisce alla crescita esponenziale del lavoro povero e/o precario, ma anche al ridimensionamento materiale del ruolo del ccnl. Non è questa la sede per ragionare dei tempi e dei modi per la ricostruzione piena del contratto nazionale come autorità salariale, ma l’accenno serve a comprendere il peso delle altre voci nella definizione dei livelli di reddito.
Parliamo dei diritti costituzionalmente garantiti all’accesso ai servizi. Parliamo di sistema di welfare che dovrebbe essere finanziato e indirizzato a garantire la piena esigibilità di tali diritti. Dal diritto alla casa a quello alla conoscenza, passando per il diritto alla cura e a Livelli essenziali di assistenza adatti a un Paese civile, fino al diritto a un’assistenza e protezione sociale adeguate (previdenza, assistenza sociale ecc.). Per arrivare alla leva fiscale, che sempre più spesso, a livello territoriale e nazionale, tende a perdere le caratteristiche di progressività previste dalla nostra Carta fondamentale. Tutto questo si chiama nuova politica dei redditi, di tutti i redditi.
Ecco allora che la confederalità assume un ruolo centrale per dare risposte compiute alla crisi del mondo del lavoro e della società nel suo complesso. Ruolo che per essere svolto appieno necessita di una riconquista solida della propria rappresentanza, minata alla base dal processo di disintermediazione avviato un decennio fa e mai superato. Ferma restando l’unità sindacale – anche per come ne abbiamo declinato l'importanza nell’ultimo documento congressuale – risulta ormai ineludibile il confronto con il mondo fuori di noi, quel mondo che è composto da mille soggettività attive sul territorio, ma che non riescono a trovare una sintesi e una forza rivendicativa.
È anche in questa prospettiva che vanno vissuti i percorsi di Sei1dinoi e, da ultimo, People-Prima le persone, la manifestazione che si svolgerà a Milano il prossimo 2 marzo, in cui il sindacato è impegnato unitariamente, assieme a tante altre organizzazioni e associazioni. Dunque, alleanze per rispondere alla crisi dell'economia e del lavoro, ma anche quale viatico per ricostruire una piena rappresentanza politica generale.
Roberto Giordano, Cgil Roma e Lazio; Riccardo Sanna, capo area delle Politiche per lo sviluppo Cgil nazionale