Alle ore 20 e 50 del 6 luglio 1960 la Cgil invia un fonogramma direttamente a Ferdinando Tambroni. 

Il testo, firmato da Agostino Novella e Fernando Santi, recita: “In relazione luttuosi et gravi avvenimenti Licata ed altre località oltrecché numerosi interventi forze di polizia contro libero esercizio diritto di sciopero, segreteria confederale chiede urgente colloquio S.V.”.

Il giorno successivo a Reggio Emilia si scende di nuovo in piazza.

La polizia spara nuovamente contro i dimostranti e cinque persone rimangono a terra uccise: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri e Afro Tondelli. Tutti e cinque operai e comunisti, alcuni ex partigiani.

Lauro ha 22 anni, orfano di padre, sposato e padre di un bambino; Ovidio di anni ne ha 19, è il più giovane dei caduti; Marino ha 41 anni, è ex-partigiano della 76ª SAP, è sposato e padre di due bambini; Afro ha 36 anni, è il quinto di otto fratelli ed anche lui è un ex-partigiano come Emilio - sposato, con due figli - che di lavoro fa l’operaio e di anni ne ha 39 anni.

L'Amministrazione comunale organizza per loro esequie pubbliche, allestendo la camera nell’atrio del teatro Municipale a pochi metri dal luogo della loro uccisione.

Al funerale, in forma civile e unico per le cinque vittime, parteciperanno migliaia di persone, fra le quali molti esponenti politici: tra questi Ferruccio Parri (“Oggi noi siamo sicuri - dirà - che se i nostri avversari ci costringessero a una prova di forza, ad una prova decisiva, noi siamo sicuri della vittoria perché l’abbiamo controllato in questi giorni, sulle piazze d’Italia, in mezzo alle masse popolari. Ma noi non desideriamo la prova di forza, non desideriamo una vittoria ottenuta in questo modo perché le vittorie di questo genere le paga il popolo. Noi non vogliamo che si allarghino nelle piazze del nostro paese queste macchie di sangue. Una tremenda responsabilità investe le supreme autorità dello Stato, ad esse spetta prima di tutti il compito di impedire che la situazione precipiti verso soluzioni estreme”), Palmiro Togliatti, Nilde Iotti, delegazioni del Pci, Psi e del Psdi, esponenti della Resistenza, delle forze antifasciste, Luciano Romagnoli e Fernando Santi per la Cgil.

La Segreteria confederale rimane riunita in seduta permanente dal 7 al 9 luglio e all’appello affinché “in tutto il Paese si elevasse la ferma protesta dei lavoratori come un severo monito contro ogni attentato alle libertà democratiche e al sentimento antifascista del popolo italiano” seguirà la proclamazione dello sciopero generale per il giorno successivo “per porre termine a questa situazione intollerabile”.

L’8 luglio, a Palermo, il centro è presidiato fin dalle prime ore del mattino dalla Celere per disturbare lo sciopero generale proclamato dalla Cgil per i fatti di Reggio Emilia. Negli scontri con la polizia restano uccisi: Francesco Vella, 42 anni, sindacalista; Giuseppe Malleo, 16 anni; Andrea Gancitano, 18 anni; Rosa La Barbera, 53 anni, casalinga; 36 manifestanti sono feriti da proiettili; 400 i fermati, 71 gli arrestati. Sempre l’8 luglio, a Catania, rimane ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia Salvatore Novembre, giovane lavoratore edile di 20 anni.

Scriveva in quei giorni Luciano Romagnoli su “Rinascita”: “Che cosa era in discussione a Genova? E, dopo ancora, a Licata, a Roma e a Reggio Emilia? Che cos’era in discussione nel paese? Era il fondamento stesso dello Stato democratico: l’antifascismo, la resistenza e la Costituzione repubblicana”.

“Compagno cittadino, fratello partigiano Teniamoci per mano in questi giorni tristi - canterà Fausto Amodei in una canzone consegnata alla storia - Di nuovo a Reggio Emilia, di nuovo là in Sicilia Son morti dei compagni per colpa dei fascisti. Di nuovo come un tempo, sopra l'Italia intera Urla il vento e soffia la bufera”.