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Nel 1972 veniva emanata la prima legge che disciplinava l’obiezione di coscienza che permetteva ai convocati di sottrarsi all’obbligo di leva al servizio armato per motivi e convincimenti etici. La legge 331 del 2000, “Norme per l’istituzione del Servizio Militare professionale”, muterà profondamente la natura del Servizio di leva che diventerà volontario e professionale, determinando così la conclusione della obiezione di coscienza a partire dal 2007.
Nell’agosto 2004 il Parlamento anticipa al 1° gennaio 2005 la sospensione della leva obbligatoria con la legge 226 “Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore”. Il decreto legge 115 del 2005 prevederà, su domanda degli obiettori ancora in servizio, la concessione del congedo anticipato al 1° luglio 2005.
Tra i primi a denunciare la necessità e la virtù dell'obiezione di coscienza all'inquadramento militare e alla guerra fu, impossibile non ricordarlo, don Lorenzo Milani. È il febbraio del 1965, i cappellani militari della Toscana rilasciano su La Nazione un comunicato che, nel ricordare e celebrare i caduti di tutte le guerre, definisce “un insulto alla Patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza, che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà”.
A loro risponde don Milani con una lettera che sarà ripresa anche dal periodico comunista Rinascita: “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri - scriveva il sacerdote - allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto. Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri".
Alla risposta ai cappellani militari reagiranno in molti, ma sarà alla procura di Firenze presentato da un gruppo di ex combattenti “profondamente e dolorosamente feriti nel loro più sacro patrimonio ideale di cittadini e di soldati” a dare il via all’azione legale contro il priore di Barbiana e il direttore di Rinascita, Luca Pavolini.
Il sacerdote subirà per la vicenda due processi per apologia di reato: il primo di assoluzione con formula piena "perché il fatto non costituisce reato"; il secondo, in appello, di condanna con "reato estinto per la morte del reo". Don Milani si spegneva a Firenze il 26 giugno 1967.
Poco più di un anno dopo, il 19 ottobre 1968, moriva Aldo Capitini, ideatore della marcia per la pace, uomo controcorrente, antifascista durante il fascismo (fu tra i pochissimi a rifiutare la tessera del Pnf e per questo perse il ruolo di segretario della Normale di Pisa), antiautoritario al tempo dell’autoritarismo, eretico per la chiesa del potere e politico senza tessera.
Capitini dedicherà la sua vita al tema della non violenza e dell’obiezione di coscienza collaborando con intellettuali impegnati sullo stesso fronte quali Danilo Dolci e Don Milani e fondando il Movimento nonviolento e il Centro di coordinamento per la nonviolenza.
Il 2 febbraio del 1956 Danilo Dolci, attivista della nonviolenza soprannominato Gandhi della Sicilia, veniva arrestato mentre guidava un gruppo di braccianti a lavorare nella Trazzera vecchia, una strada nei pressi di Partinico abbandonata all’incuria.
“L’onore e la responsabilità di chiudere la discussione e di rivolgervi, signori giudici, l’ultima preghiera che vi accompagnerà in camera di consiglio” spetta a Piero Calamandrei.
“Questa - dirà - non è la causa di Danilo; e neanche di Partinico; e neanche della Sicilia. È la causa del nostro Paese: del nostro Paese da redimere e da bonificare”.
In piena facoltà
Egregio presidente
Le scrivo la presente
Che spero leggerà
La cartolina qui
Mi dice terra terra
Di andare a far la guerra
Quest'altro lunedì
Ma io non sono qui
Egregio presidente
Per ammazzar la gente
Più o meno come me
Io non ce l'ho con lei
Sia detto per inciso
Ma sento che ho deciso
E che diserterò
(…)
Vivrò di carità
Sulle strade di Spagna
Di Francia e di Bretagna
E a tutti griderò
Di non partire più
E di non obbedire
Per andare a morire
Per non importa chi
Per cui se occorrerà
Del sangue ad ogni costo
Andate a dare il vostro
Se vi divertirà
E dica pure ai suoi
Se vengono a cercarmi
Che possono spararmi
Io armi non ne ho