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L’Italia è scivolata dal 46° al 49° posto nella classifica di Reporters sans frontières per la libertà di stampa, contenuta nel report 2025 pubblicato in occasione della Giornata mondiale proclamata dall’Onu, che si celebra il 3 maggio. Siamo tra gli ultimi grandi Paesi occidentali, essendo passati da una situazione “abbastanza buona” del 2023 a una condizione definita “problematica”.
Un netto peggioramento, dovuto all’aggravarsi dei problemi strutturali di natura politica, economica e legale che i media devono quotidianamente affrontare.
Norvegia al top
Sul gradino più alto si conferma la Norvegia, seguita da Estonia e Paesi Bassi. In fondo alla classifica si trovano Cina (178° posto), Corea del Nord (179°), Eritrea (180°). Tra le sorprese, Trinidad e Tobago al 19° posto davanti al Regno Unito, Taiwan al 24° prima della Francia.
Retrocede la Germania, che scende all’11° posto a causa di un “clima di lavoro sempre più ostile per i professionisti dei media, in particolare a causa degli attacchi dell’estrema destra”.
Pratiche autoritarie
Dalla Striscia di Gaza all’Afghanistan, dalla Russia agli Usa, i governi ricorrono a pratiche autoritarie, usano per proprio tornaconto leggi dai contenuti generici e applicano la forza bruta contro coloro che raccontano, denunciano, svelano la verità svolgendo dunque un ruolo importante nella difesa dei diritti umani.
A ricordarlo è Amnesty International, che snocciola numeri impressionanti: nel 2024 almeno 124 operatori dell’informazione sono stati uccisi nel mondo, due terzi dei quali nella Striscia di Gaza da attacchi israeliani. In Pakistan, sempre nel 2024, sono stati assassinati almeno sette giornalisti, soprattutto nella provincia del Belucistan che Amnesty ha definito “la tomba del giornalismo”.


Problema globale
“L'indicatore economico del World Press Freedom Index continua a scendere nel 2025 – denuncia Reporters sans frontières - e raggiunge un livello critico senza precedenti. Di conseguenza, per la prima volta la situazione della libertà di stampa è diventata difficile su scala globale. Un fattore importante, spesso sottovalutato, sta indebolendo profondamente i media: la pressione economica. Alla luce di questi dati un'osservazione è chiara: i media oggi sono divisi tra la garanzia della loro indipendenza e la loro sopravvivenza economica”.
Violazioni italiane
L’Italia non fa eccezione. “Con l’adozione di una serie di leggi restrittive, il governo Meloni continua a insidiare la libertà di stampa – afferma Vincenzo Vita, giornalista e saggista, già sottosegretario alle comunicazioni e oggi garante di Articolo 21 -: la cosiddetta legge bavaglio, adottata recentemente (che vieta di pubblicare le ordinanze cautelari e gli altri atti delle indagini che non sono coperti da segreto, ndr), e il tentativo di attaccare il principio della segretezza delle fonti giornalistiche per alcune società pubbliche con il decreto sicurezza, la normalizzazione delle querele temerarie. Assistiamo poi alla progressiva trasformazione della Tv di Stato in una sorta di TeleMeloni. La legge di riforma del 2015 ha dato al governo un potere di nomina che l’esecutivo non dovrebbe avere sul servizio pubblico. Per questo l’Italia è bollino nero. L’8 agosto entrerà in vigore l’Emfa, European Media Freedom Act, che rende illegale questo meccanismo: da quel momento in poi saremo passibili di procedimento di infrazione”.
Come ti condiziono la Rai
Lo European Media Freedom Act è un regolamento dell’Unione adottato dal Consiglio nel 2024 che mira a garantire la libertà e l’indipendenza dei mezzi di informazione pubblici e privati nei Paesi membri, e che risponde alle crescenti preoccupazioni sull’influenza politica e le pressioni economiche. In particolare stabilisce che la nomina della governance nel servizio pubblico deve essere libera da influenze politiche da parte dei governi. E in Italia, appunto, non è così.
Secondo il Liberties Media Freedom Report 2025, quarto rapporto annuale sulla libertà dei media nell'Unione, nel nostro Paese “il governo deve ancora introdurre riforme per garantire la piena trasparenza sulla proprietà e sui potenziali conflitti di interesse nel settore dei media” e denuncia “pressioni senza precedenti sulla Rai”.
Pressioni sui giornalisti
“Le principali preoccupazioni derivano dalla governance e dalle strutture di finanziamento dell'emittente pubblica, che attualmente la rendono vulnerabile a interferenze politiche” si legge nel report che ribadisce: la legge di riforma Rai viola l’Emfa.
A nulla sono serviti i due ricorsi presentati l’anno scorso al Tar del Lazio per bloccare il rinnovo del consiglio di amministrazione Rai: nonostante le azioni legali, il nuovo cda è stato insediato il primo ottobre. Il documento sottolinea poi che “i giornalisti Rai affrontano pressioni senza precedenti e autocensura a causa delle pressioni politiche”.
Minacce e querele
Non basta. Secondo il report di Rsf il principale ostacolo a una libera informazione restano le minacce delle organizzazioni mafiose, in particolare al Sud, e dei vari gruppi estremisti che commettono atti di violenza.
A questo si aggiunge il ruolo della politica, che tenta di “ostacolare la libera informazione in materia giudiziaria attraverso una legge bavaglio, che si aggiunge alla prassi di azioni legali intentate per intimidire, imbavagliare o punire coloro che cercano di partecipare e di esprimersi su questioni di interesse pubblico”.
Quella delle querele temerarie è una piaga che avvicina l’Italia all’Ungheria di Orban in fatto di libertà di stampa. Solo Sigfrido Ranucci di Report ne ha 190. Si va alla cieca nel tentativo di intimidire i giornalisti, spesso precari e quindi poco tutelati. Questo è un altro problema: la precarietà nella professione. Quando il tasso di disoccupazione è altissimo, quando ben più della metà degli iscritti all’ordine non ha un contratto, il sistema dell’informazione è sotto ricatto e soggetto a controllo.
Referendum, rompere il silenzio
“È il 3 maggio eccezionale, perché il clima è pessimo – dichiara Giuseppe Giulietti, coordinatore di Articolo 21 -: il sovranismo estremista che ha come riferimento Trump, Putin, Musk, Netanyahu e che in Italia ha Meloni, vede come nemico principale il pensiero critico, non solo i giornalisti. Il decreto sicurezza, per esempio, è un attacco al diritto di sciopero, al diritto di manifestare. Chiunque ponga un quesito, una domanda, una rivendicazione diventa un nemico. Basta guardare i cinque quesiti referendari, quelli sul lavoro della Cgil e quello sulla cittadinanza, che vengono oscurati sistematicamente. E invece è un diritto dei cittadini sapere che ci sono e quali sono, indipendentemente da come votare. Per questo vorrei un 3 maggio con meno indignazione e più azione. Magistrati, giornalisti, avvocati, costituzionalisti, tutti dovrebbero dichiararsi, dovrebbero rompere il silenzio sui referendum e chiamare i cittadini al voto”.