L’appuntamento è per le 9.30 del 1° settembre a Como, presso lo Spazio Gloria in via Varesina 72: al via il XIII forum della campagna Sbilanciamoci! Mentre a Cernobio in contemporanea al seminario dello Studio Ambrosetti si riuniranno esponenti del mondo della finanza, dell’economia e del mainstream del pensiero neoliberista, nella cittadina lombarda si riuniscono gli esponenti delle organizzazioni della società civile, dell’università, della ricerca, del sindacato. Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci!, afferma: “Alle ricette neoliberiste dello Studio Ambrosetti, Sbilanciamoci! contrappone il “programma politico” della Costituzione Repubblicana, la nostra “strada maestra”: il lavoro, il diritto all’istruzione, alla salute, all’assistenza, il ripudio della guerra, la progressività fiscale, la tutela dell’ambiente”.

Come tradurre in un programma politico ed economico la "strada maestra" della Costituzione?
Bisogna dare corpo a una politica economica che dia concretezza a quei princìpi che la Costituzione ha sancito e che ci ricorda tutti i giorni: uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale, diritto all'istruzione e alla salute. Insomma, c'è tutta una parte della Costituzione che è a fondamento di una civiltà economica diversa, basata sui beni comuni, sulla coesione sociale, sul mercato subordinato all'interesse generale. Certo il mercato ha una funzione importante, ma è un prodotto della società e non il contrario. È uno strumento che deve essere utilizzato nell’interesse di tutti e non di pochi.

La Costituzione recita che l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, ma qual è il lavoro che in ossequio alla Carta bisognerebbe promuovere?
Vorrei ricordare che mentre si scriveva la nostra Costituzione che pone, appunto, il lavoro a fondamento della Repubblica, contemporaneamente veniva cambiato lo statuto dell'Organizzazione internazionale del lavoro, l’Oil, e si sanciva che il lavoro non è una merce. Costituzione italiana e Statuto dell’Oil vanno letti insieme: il lavoro deve essere un diritto, deve svolgersi con dignità. E vorrei sottolineare che già la definizione “mercato del lavoro” è un'espressione che in me suscita qualche dubbio, e noi siamo addirittura passati dal mercato del lavoro al mercato dei lavoratori. La precarizzazione, la proliferazione di contratti anomali e atipici ha indebolito il mondo del lavoro, lo ha reso più esposto allo sfruttamento e ha demolito anche le condizioni materiali, ovvero la condizione salariale del lavoro nel mondo occidentale. Ribadire che il lavoro è a fondamento della nostra società è assolutamente fondamentale anche nella nostra iniziativa di Como.

In questo mese di agosto sono successe tante cose. Dall'abolizione del Reddito di cittadinanza via sms, al rifiuto da parte del Governo di prendere in considerazione l'idea di uno strumento che fissi per legge il salario minimo. Che cosa ci dicono queste politiche ? Quali sono le contro politiche che, invece, andrebbero messe in atto?
Le politiche di questo governo sono dalla parte dei ricchi e dei privilegiati. Certo, alcuni interventi, come ad esempio la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori a più basso reddito sono positivi, ma l’ispirazione economica di fondo è la difesa ai privilegi acquisiti nel corso degli anni. La delega fiscale, con l’obiettivo di introdurre – anzi di estendere - la flat tax e l’allentamento del contrasto all’evasione fiscale e il condonare i comportamenti illeciti e illegali – ad esempio - vanno nella direzione appunto del mantenimento delle diseguaglianze. Così come l’eliminazione del Reddito di cittadinanza significa aumento della povertà, aumento delle diseguaglianze, per non parlare dell’idea che la povertà sia una colpa individuale e non l’effetto di politiche sbagliate. Così come la contrarietà a fissare per legge una soglia sotto la quale non è lavoro ma sfruttamento risponde alla logica che occorre tutelare i profitti delle imprese e non il potere di acquisto dei lavoratori e lavoratrici. Altro che redistribuzione della ricchezza, come vorrebbe la Carta del 48!

Il clima impazzito è una delle cause dell'aumento delle disuguaglianze. La contro Cernobio si aprirà con una serie di confronti su questa emergenza. Quali sono le politiche che andrebbero messe in campo per mitigare l'impatto del clima e costruire una giusta transizione sociale ed economica che parta dalla difesa dell’ambiente?
Il Governo ha al suo interno molti negazionisti che non vedono l'emergenza che stiamo attraversando e gli enormi rischi che il pianeta sta correndo. Entro la fine del secolo potremmo assistere a cambiamenti strutturali che porteranno a una situazione insostenibile e ingestibile: pensiamo ai processi di desertificazione e di conseguenza a migrazioni ciclopiche. Sono necessarie misure urgenti per la riduzione consistente delle emissioni, che significa - ad esempio – un cambiamento delle politiche industriali, dei consumi, della mobilità collettiva e individuale. L’1 e 2 settembre ci confronteremo su quali politiche mettere in campo per salvaguardare contemporaneamente il lavoro e il pianeta e quali investimenti occorre fare. Bisogna avere il coraggio di anticipare l'emergenza che sta arrivando. Anche sul versante del lavoro, altrimenti rischiamo fra qualche anno di perdere migliaia di posti di lavoro, ad esempio, al settore dell'automobile ma non solo. L’Italia è in ritardo ma accelerando la transizione ecologica si possono creare nuova occupazione e nuove opportunità anche per le imprese, però bisogna avere le idee chiare.

Siamo a oltre 550 giorni di guerra tra Russia e Ucraina. Qual è la pace che "chiede "la Costituzione?
Una pace giusta e che si fonda su un compromesso. La prima cosa da fare è il cessate il fuoco, far tacere le armi. E il negoziato deve essere fondato sulla difesa di quei principi del diritto internazionale che tutti noi pensiamo siano giusti e su compromessi che tengano conto delle diverse aspettative che hanno l'Ucraina e la Russia. Naturalmente c'è un paese aggredito e un paese aggressore, c'è un paese che ha invaso e uno che è stato invaso. Però, appunto, nelle guerre bisogna trovare un meccanismo che ponga fine alla dinamica dell'escalation. Occorre avere il coraggio di affermare che questa guerra non si concluderà con una vittoria militare, ma con un negoziato. E l'unico modo è quello di costruire le condizioni di questo negoziato. Continuare a mandare armi, a fomentare l’escalation, è un errore drammatico che si fa sulla pelle delle popolazioni senza nessuna prospettiva e con rischi che si accumulano, da quello nucleare all’allargamento del conflitto ad altri territori.

Lo scorso 18 agosto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale un Dpcm con la definizione degli obiettivi di spesa per il prossimo triennio per ciascun ministero. Per il ministero della Salute si prospetta una diminuzione di spesa che metterebbe a rischio la salute pubblica. Contemporaneamente siamo all'avvio del nuovo anno scolastico e l'intervento più corposo di questo Governo è quella della riduzione del numero delle classi e dei plessi scolastici. È questa la società descritta dalla Costituzione?
La società prefigurata da questi interventi, quella in cui si riducono i servizi, gli interventi e le strutture che hanno fino a oggi garantito il rispetto di alcuni diritti sanciti dalla nostra Costituzione – dall’istruzione alla salute – è molto molto preoccupante perché più si riduce lo spazio pubblico di servizi e strutture per la salute e per l'istruzione più si apre uno spazio per il mercato. Il rischio vero è che l'impoverimento dei nostri sistemi di tutela della salute e dell'istruzione apra la porta a un arricchimento delle strutture private. Il processo è già ampiamente in atto e il rischio che vada ulteriormente avanti è molto serio. Va in ogni modo fermato. Vorrei, per altro, ricordare che intervenire con politiche pubbliche e con soldi pubblici sulla sanità non ha come effetto semplicemente quello di garantire una maggiore tutela dei cittadini, la loro salute, i diritti previsti dalla Costituzione, ma crea posti di lavoro, crea opportunità per le imprese. Servono investimenti per garantire maggiore benessere collettivo,.

Da un lato la riforma fiscale improntata non più sui cardini costituzionali della progressività, dall'altro lato una sfrenata corsa agli incentivi alle imprese e alla facilitazione delle liberalizzazione del mercato, quale sistema economico questo governo sta disegnando e di cosa ci sarebbe invece bisogno?
Le politiche fiscali definiscono la cifra di questo Governo: riduzione del ruolo dello Stato, riduzione dei servizi e, nello stesso tempo, facilitazione alle fasce di reddito più alte con l'indebolimento del principio della progressività fiscale. E vorrei ricordare che la tassa sui profitti delle imprese vent'anni fa era al 37% oggi è al 24%: una riduzione considerevole. Se lo stesso trattamento fosse stato riservato anche ai lavoratori dipendenti alcuni problemi sarebbero risolti. Gli incentivi non sono uno strumento di per sé negativo. Il problema è che se si fanno solo gli incentivi, si delega la politica industriale alle imprese e non funziona. Gli incentivi dovrebbero essere utilizzati per indirizzare la politica industriale verso settori green e innovativi, o per aiutare l’occupazione. Lo Stato, attraverso le politiche pubbliche, dovrebbe indirizzare lo sviluppo industriale non elargire incentivi a pioggia. Pensiamo al settore dell’auto: attraverso gli incentivi si sarebbero dovute promuovere la ricerca e la produzione di veicoli elettrici e di trasformazione della mobilità da individuale a collettiva. Stessa cosa vale per l’energia, con gli incentivi occorrerebbe promuovere non solo l’istallazione dei pannelli solari ma anche la loro produzione in Italia. E potremmo continuare con gli esempi: si tratta di utilizzare le risorse pubbliche per definire le politiche industriali.

Premierato e autonomia differenziata, è questo che serve al Paese?
Occorre fare una considerazione più generale. Nel corso degli anni la partecipazione dei cittadini e delle cittadine alla vita politica e alle consultazioni elettorali è assai diminuita. C’è una forte sfiducia di una parte importante della società rispetto al fatto che attraverso la politica si possano cambiare le cose. È di questo che occorre parlare, non di marchingegni istituzionali. E poi, l’idea di schiacciare su un’unica persona e sul ruolo del premier il governo della società non solo non funziona, ma rischia di aggravare questo clima di sfiducia e di allontanamento dalla partecipazione. A questo proposito, penso che il sistema proporzionale sia più adeguato al nostro Paese. E poi, come la storia ci insegna, scelte come quella del premierato portano con sé anche rischi di autoritarismi.

L’1 e 2 settembre a Como... e poi?
E poi il 7 ottobre, insieme alla Cgil e altre 100 associazioni a Roma in Piazza San Giovanni. La strada maestra ci conduce lì, per il lavoro, contro la precarietà, per il contrasto alla povertà, contro tutte le guerre e per la pace, per l’aumento dei salari e delle pensioni, per la sanità e la scuola pubblica, per la tutela dell’ambiente, per la difesa e l’attuazione della Costituzione contro l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della nostra Repubblica parlamentare.

Il programma delle due giornate di Como.