È l’opposto della partecipazione perché cancella la contrattazione e toglie ai lavoratori pari dignità rispetto alle aziende. A dispetto del nome con cui è stata battezzata, “legge sulla partecipazione”, la norma appena approvata in via definitiva in Senato è a favore delle imprese e non dei lavoratori perché fa gli interessi dei datori.

La peggiore delle versioni

Proposta dalla Cisl con una raccolta firme come legge di iniziativa popolare, con un testo base che è stato emendato e si può dire anche stravolto nel corso dell’iter parlamentare, è arrivata ora all’approvazione nella peggiore delle versioni possibili. Perché rischia di avere effetti di tipo regressivo, facendo fare ai lavoratori passi indietro.

In contrasto con la Costituzione

“Con la legge sulla partecipazione si cancella la contrattazione e la si sostituisce con una logica di subordinazione delle relazioni nelle imprese – afferma Francesca Re David, segretaria confederale della Cgil -. Questo è in totale contrasto con quanto previsto dall’articolo 46 della Costituzione che riconosce ai lavoratori il diritto di partecipare alla gestione delle imprese. Con questa legge saranno unicamente le aziende ad avere il potere decisionale di concedere o meno tale diritto. E solo le aziende potranno decidere se dare vita alle commissioni paritetiche, oggi già ampiamente diffuse per via contrattuale. Si depotenzia così enormemente il ruolo delle lavoratrici, dei lavoratori e dei sindacati”.

Riduce il ruolo della rappresentanza

Il fatto è che la partecipazione, così come delineata dalla nuova legge, può ridurre il ruolo di chi rappresenta in modo diretto i lavoratori nel rapporto con le imprese e sulle decisioni di carattere strategico. Influisce sulla negoziazione. Rischia di consentire alle aziende di usare le forme di partecipazione per superare il confronto sindacale e i luoghi delle relazioni sindacali. Sembrano tecnicismi, ma non lo sono, una volta applicati diventano sostanza. 

Meno potere ai lavoratori

“All’interno delle aziende il conflitto tra le forme della partecipazione e quelle della rappresentanza può indebolire il potere contrattuale collettivo – spiega Nicola Marongiu, responsabile area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -. La legge non chiarisce in modo netto e chiaro come si bilanceranno i poteri tra lavoratori, soggetti della rappresentanza diretta, organizzazioni sindacali e datori di lavoro nelle decisioni aziendali di tipo strategico”.

Più potere alle aziende

La legge di fatto affida i poteri decisionali in tema di partecipazione agli statuti delle aziende, che in questo modo delineano le modalità con cui i lavoratori possono prendere parte ai processi decisionali. Da un lato, quindi, si attenua il potere dei rappresentanti dei lavoratori già esistenti, dall’altro si dà spazio alle forme di partecipazione che sono emanazione dell’azienda.

Banche e aziende pubbliche

“Altri due punti negativi sono da sottolineare – prosegue Marongiu -: la cancellazione in fase di approvazione della legge di ogni previsione riguardante la disciplina della partecipazione nelle società a partecipazione pubblica e la soppressione dei riferimenti alla consultazione preventiva e obbligatoria negli istituti di credito, nelle banche e nelle imprese che erogano servizi pubblici essenziali. Si tratta di luoghi particolarmente sensibili per la tipologia di servizi di primaria necessità che forniscono e che esercitano una funzione importante anche di natura pubblica che coinvolge il territorio. Si pensi alle banche che raccolgono ed erogano il credito e ai servizi pubblici locali che garantiscono anche la qualità della cittadinanza”.

Utili per chi?

Chi osanna la legge come una salvifica panacea, evidenzia l’aspetto legato alla partecipazione dei lavoratori agli utili. Ma anche in questo caso il meccanismo messo in piedi è svantaggioso: “Di fatto svuoterà il rapporto tra salario aziendale e prestazione di lavoro – afferma la segretaria Cgil Re David -. In definitiva, se questa legge verrà applicata, ai lavoratori non verrà più riconosciuta pari dignità rispetto alla parte aziendale. Per questo sosteniamo che siamo di fronte a una legge che cancellando la contrattazione rappresenta l’opposto della partecipazione”.