Ogni anno, in Italia, migliaia di famiglie straniere chiedono di potersi ricongiungere con i cari che hanno lasciato nei loro paesi di origine. Si tratta di mariti, mogli, genitori. Molto spesso figli, anche piccoli, come nel caso del ragazzo iracheno Kardo, ora finalmente insieme ai suoi genitori nello Sprar di Reggio Calabria. La storia della famiglia Khalil ha avuto un lieto fine grazie all'impregno dello Sportello Immigrati della Cgil. Il sindacato è attivo quotidianamente sul fronte dei ricongiungimenti familiari. Svolge un ruolo fondamentale di mediazione, di supporto e di guida, sia a livello nazionale che territoriale. Kurosh Danesh, responsabile politiche dell'immigrazione Cgil Nazionale, di storie come quella di Kardo ne avete vissute tante. 

Sì, è così.  La storia di Kardo Khalil e della sua famiglia è per noi una bellissima notizia, che rientra in uno dei casi di ricongiungimenti familiari previsti dalla legge. I genitori godono della protezione sussidiaria, che ha permesso loro di avviare le pratiche di ricongiungimento con i figli minori. Per quanto riguarda i ricongiungimenti in termini generali, il quadro di riferimento normativo è quello previsto dalla Legge 286. La Cgil ormai da anni, sin dalla fine del 2006, si avvale del protocollo che abbiamo firmato con il Ministero degli interni, che permette all’Inca e agli altri patronati di lavorare su mandato, con un accesso diretto e immediato al sistema. Il patronato inserisce la domanda e la prefettura la esamina, per poi procedere in concreto al ricongiungimento. Una parte della documentazione poi dovrà essere visionata da parte della rappresentanza diplomatica italiana nel Paese di provenienza. 

Qual è il valore aggiunto che la Cgil ha creato, intervenendo in questo processo?

Quasi quattro anni fa, ormai, ci siamo fatti promotori di un progetto, che si chiama Form@- Formazione Orientamento RicongiungiMento Familiare. Di recente abbiamo chiuso il primo ciclo e aperto il secondo. Attraverso questo progetto, condotto come Cepa (patronati Cgil, Cisl, Uil e Acli) e cofinanziato dall’Unione Europea, abbiamo avviato in dieci paesi dei percorsi di preparazione al ricongiungimento familiare, rivolti alle famiglie interessate e ai soggetti che devono raggiungere l’Italia. L’obiettivo è fornire le informazioni e gli strumenti utili al ricongiungimento, che vanno dall’apprendimento della lingua alle nozioni sulla condizione giuridica dell’immigrato in Italia. Ma anche la cultura, la politica, la società. Insomma, dei veri e propri percorsi formativi, che permettono a chi arriva nel paese di essere “attrezzato”. Abbiamo, infatti, potuto verificare che chi arriva con un bagaglio di conoscenze e informazioni pregresse ha più facilità a inserirsi nel tessuto economico e sociale italiano. Stiamo pensando, per esempio, di approfondire la parte formativa per quanto riguarda la consapevolezza di queste persone in merito ai loro diritti esigibili. Sotto questo aspetto, siamo forse i primi in Europa ad aver avviato un simile percorso, che lavora sulla consapevolezza, la presa di coscienza come pre requisito per la partenza.  

Accanto al lavoro della Cgil Nazionale, c'è quello svolto sul territorio dai patronati Inca e dagli Sportelli Immigrati.

Sì, certo. Queste realtà naturalmente si parlano tra di loro e con la prefettura. Abbiamo un’organizzazione interna capillare e molto strutturata, che ci permette di gestire un elevato numero di ricongiungimenti familiari.  Ogni anno seguiamo dai 9 mila ai 12 mila casi. Ma siamo anche arrivati a 17 mila pratiche di ricongiungimento all’anno. E poi ci occupiamo di circa 37mila pratiche di rinnovo del permesso di soggiorno

A partire da queste cifre, i decreti Sicurezza, che hanno smantellato in sostanza il sistema esistente, hanno avuto conseguenze sui ricongiungimenti?

Il sistema Sprar non solo garantiva ai migranti una prima accoglienza, ma li favoriva nella creazione di condizioni di vita dignitose, nonché necessarie a poter chiedere i ricongiungimenti familiari: avere un lavoro, una casa, un reddito. É ovvio, dunque, che lo smantellamento di quel sistema ha avuto ricadute non immediate ma di lunga gittata. Per le persone immigrate è diventato sempre più difficile inserirsi nel tessuto sociale ed economico e dunque avere i requisiti per poter chiedere un ricongiungimento con i propri familiari rimasti in patria.  

E il Covid che impatto ha avuto?

 La pandemia ha avuto innanzitutto una serie di conseguenze pratiche, a partire dalla chiusura degli uffici e dallo smart working, che hanno rallentato e allungato i tempi delle pratiche. Il problema più grave, però, è stata la chiusura delle rappresentanze diplomatiche italiane nei paesi di provenienza delle persone interessate. In sostanza, la domanda compilata in Italia viene trasmessa all'ambasciata italiana nel paese dove risiede la persona che deve essere ricongiunta, la quale dovrà andare a chiedere il visto d'ingresso in Italia. Queste autorizzazioni hanno un limite di tempo, che a causa del Covid hanno rischiato spesso di scadere. Per questo, come Cgil, abbiamo chiesto al Ministero degli esteri un prolungamento temporaneo delle autorizzazioni. Siamo riusciti, così, a tutelare tutte quelle situazioni che restano al momento congelate, a causa della pandemia.