Puntata n. 1/2024 – Nel 2023 solo il 16% dei nuovi posti di lavoro era a tempo indeterminato

Il flagello della precarietà

Nel 2023 solo il 16% dei nuovi posti di lavoro era a tempo indeterminato. A Roma, la Capitale d’Italia, il 49% dei nuovi contratti attivati lo scorso anno aveva la durata di un giorno. Se dovessimo scattare una foto del Paese reale sceglieremmo questa. Una foto senza prospettiva, come il poco lavoro disponibile. Piatta, come la vita dei nostri giovani. Un biglietto di sola andata altrove è l’unica via di fuga da questo eterno presente di lavoretti e paghe da fame che li inchiodano a una condizione senza futuro. Non c’è laurea che tenga. E non c’è casa né famiglia né crescita professionale né formazione né realizzazione di sé stessi nel lavoro e fuori dal lavoro. Il Paese non sogna più, non fa più progetti. Non è più un Paese per giovani e infatti i giovani si stanno estinguendo e il Paese invecchia. L’età media è arrivata a 46,4 anni e la curva demografica è diventata ormai precipizio.

È morto in una prigione, colpevole di essere umano

“Se dovessi mai morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta. L'Africa mi manca molto e anche mia madre, non deve piangere per me. Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace”. Queste sono le ultime parole di un giovane di 22 anni, originario della Guinea, che questa settimana si è tolto la vita al cpr, il centro di permanenza per il rimpatrio, di Ponte Galeria a Roma. Le ha scritte con un mozzicone di sigaretta sul muro.

Andiamo a comandare 

I trattori marciano su Roma col benestare del governo. Mica sono ambientalisti, studenti o cassaintegrati. Il sassolino del direttore di Collettiva, Stefano Milani

“Col trattore in tangenziale, andiamo a comandare”. Che stupidi gli attivisti dal pollice verde che imbrattano l’arte o bloccano il traffico anteponendo i loro corpi inermi ai mega Suv cromati di monossido di carbonio. Stolti i liceali, tutti occupazione e diritto allo studio, che invocano un futuro sostenibile e possibilmente meno precario. Sciocchi quei lavoratori che bloccano treni e picchettano fabbriche per gridare la loro sopravvivenza. Non avete capito niente. La zucchina tira più dell’aria pulita, il pomodoro più del vocabolario, il cetriolo della chiave inglese. Soprattutto se sulla vostra cattiva strada incontrate il Salvini di turno che, smartphonemunito, vi bullizza sui social. Nel Paese del dissenso ad categoriam, c’è protesta e protesta. C’è chi viene inviato sul palco di Sanremo e chi minacciato di essere rinchiuso a San Vittore. Punti di svista di chi lotta e governa nello stesso istante in questa nostra meravigliosa Terra dei cachi.

Licenziato perché voleva fare il padre

Lo chiameremo Nicola il papà che dopo aver chiesto un congedo parentale è stato licenziato. L’azienda lo aveva fatto pedinare e fotografare da un investigatore privato e aveva scoperto, pensate, che durante il giorno accompagnava e andava a riprendere la bimba all’asilo, faceva la spesa, cucinava e puliva la casa. Tutto molto strano, avranno pensato in azienda, dato che Nicola non è una donna, è un uomo. Nel 2023 in Italia 44mila donne si sono dimesse perché non riuscivano a conciliare il lavoro di cura, non retribuito, e la loro carriera. Le dimissioni, non il congedo, sono, secondo la cultura imperante, la soluzione alla conciliazione. Per fortuna il giudice del lavoro non la pensava così e non solo ha condannato l'azienda al reintegro del lavoratore e al pagamento di tutte le mensilità arretrate, compresi i contributi, ma, proprio analizzando le foto e le ricostruzioni dell'investigatore privato, ci ha tenuto a specificare che Nicola ha usato il congedo parentale in modo corretto. La battaglia culturale è ancora lunga. Ma chi ben comincia è a metà dell’opera.