Molte sono le parole che si sono ripetute da un capo all’altro del Paese nel corso della diretta Facebook organizzata dalla Fp Cgil in occasione della giornata internazionale degli infermieri: responsabilità, professionalità, rispetto, passione, fatica. Parole che scandiscono il racconto delle settimane passate a fronteggiare un virus sconosciuto, spesso in condizioni di disorganizzazione e di scarsa protezione individuale. Alcuni di loro hanno vissuto l’esperienza del curare e dell’essere curati perché contagiati. L’esperienza di queste settimane rapidamente si è fatta riflessione per il presente e soprattutto per il futuro. Ed allora la richiesta del riconoscimento della professionalità dimostrata, dei diritti e delle tutele, del rinnovo dei contratti per quelli che operano nella sanità privata e dell’apertura del tavolo per quella pubblica.

A tutti e tutte loro il messaggio del segretario generale della Cgil Maurizio Landini: “Grazie a tutte le infermiere e a tutti gli infermieri per la passione, l’umanità, le competenze e la professionalità che da sempre mettono in campo per la salute di tutti noi. Non eroi per un giorno, prosegue il leader di Corso d’Italia, ma lavoratrici e lavoratori con diritti tutti i giorni. Va ricordato anche domani: il loro lavoro è prezioso - conclude Landini - e va difeso, valorizzato e tutelato”.

Ad introdurre e coordinare l’iniziativa Barbara Francavilla e Michele Vannini, segretari nazionali della categoria e con Loro Giancarlo Go, responsabile del gruppo nazionale degli infermieri Fp Cgil, nato poco più di un anno fa. Ma il ruolo centrale nelle quasi due ore di diretta è toccato ai professionisti dell’assistenza e della cura. Il primo e l’ultimo intervento sono toccati a lavoratori dei due ospedali simbolo dell’emergenza Coronavirus Maurizio Vescovo, coordinatore infermieristico dello Spallanzani di Roma, e Giampaolo Berardi del Giovanni XXIII di Bergamo.

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Troppo pochi, sovraccaricati di responsabilità, scarsamente retribuiti per il lavoro che svolgono. Oggi in tutto il mondo si celebra la loro giornata, ma loro vorrebbero essere ricordati e considerati per il lavoro che svolgono.
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“Da noi il virus si è presentato a fine gennaio assieme ai due pazienti cinesi, illustra Vescovo - ed allora abbiamo riconvertito l’intero ospedale in reparti Covid con uno sforzo organizzativo che ci ha visto protagonisti, 10 letti di terapia intensiva sono diventati 35 e poi ancora 55. Visti i tanti pazienti in continuo arrivo, è stato necessario aumentare la dotazione organica della struttura e il personale in servizio si è reso disponibile h 24 per assistere i malati e per far da supporto ai nuovi assunti. Certo, prosegue l’infermiere dello Spallanzani, noi siamo una struttura che si occupa di malattie infettive e quindi sappiamo come gestirle ma siamo orgogliosi del fatto che nessuno del personale è risultato positivo. Questo rispetto conquistato sul campo, conclude Vescovo, rende evidente il ruolo, la centralità dell’infermiere. Meritiamo il giusto riconoscimento e soprattutto rispetto”.

La condizione lavorativa di Vittorio Tagliaferri, dipendente della Asl Napoli 1 centro, è assai diversa da quella del suo collega romano che afferma: “La sicurezza dei pazienti andrebbe messa al centro sempre. Noi abbiamo dovuto mettere in campo creatività e iniziativa per sopperire alla carenza organizzativa della struttura, ci siamo riusciti mettendo individuando soluzioni in assenza di quelle che avrebbero dovute esserci. Abbiamo dimostrato di non essere ausiliari ma professionisti anche in mancanza di un quadro normativo chiaro. Però, ricorda ancora Tagliaferri, l’autonomia professionale ci è stata riconosciuta da una Sentenza della Corte Costituzionale del 2016. E ce la conquistiamo sul campo anche grazie al continuo aggiornamento professionale”. Il capoluogo campano, vogliamo ricordare, è stato troppo spesso teatro di aggressioni al personale sanitario e l’infermiere napoletano ci tiene a sottolineare che occorre dire forte e chiaro “Stop alla violenza”.

Leonardo Rivelli lavora a tempo determinato alla Asl di Lecce, opera nel reparto di Medicina generale dell’Ospedale di Copertino e la sua testimonianza vale doppio, racconta i suoi 37 giorni di malattia da Coronavirus e la condizione di precario: “Sono passato dall’assistere i malati ad essere assistito. Paura e ansia hanno scandito le mie giornate, cercavo risposte dai medici che non riuscivano a darmele perché di questa malattia si conosce davvero poco. Avevo paura di morire a 35 anni lasciando una bimba di 7. E alla paura si è sommato il senso di colpa nei confronti dei miei familiari e il dolore per essere stato definito untore”. Rivelli è guarito e riflette sulla condizione di precarietà che vive insieme a tanti colleghi. “Bene Legge di Bilancio e Mille Proroghe che estendono i termini per la stabilizzazione, ma tutti quelli che non matureranno i 36 mesi di lavoro nel 21 che fine fanno? E soprattutto che fine faranno quelli assunti per fronteggiare la pandemia ora che sta finendo l’emergenza? Sono 53mila gli infermieri che mancano, se si assumessero tutti i precari e quelli delle graduatorie a scorrimento ci sarebbero ancora posti da riempire”.

Fabio Strazzella lavora all’Ospedale di Schiavonia e dice: “Ricorderemo il 21 febbraio 2020 per il resto della nostra vita. Nel giro di poco ore ci hanno blindati per 42 ore dento il Pronto Soccorso perché non eravamo attrezzati per fare i tamponi. Ci siamo riorganizzati e abbiamo fatto fronte pur non avendo più un ospedale di riferimento. Non siamo ancora tornati alla situazione ante Coronavirus ma le cose vanno molto meglio. Spero davvero, conclude, che tutto questo porti ad una rivisitazione della nostra professione a cominciare dalla gestione dei codici bianchi, possiamo farlo in autonomia, in questo modo si velocizzerebbe l’attività dei Pronto Soccorso contribuendo a ridurre le aggressioni al personale”.

Anche Caterina Cassinelli, coordinatrice infermieristica Asl di Torino, è stata contagiata pur non lavorando in un reparto “sporco” così come la quasi metà dei suoi colleghi, non avevano in dotazione nemmeno le mascherine chirurgiche per carenze non di materiali ma di capacità organizzativa e decisionale. Nemmeno da casa è rimasta con le mani in mani, ha creato un gruppo WhatsApp “io penso positivo” e con i suoi colleghi ha contribuito al miglioramento dell’organizzazione del lavoro di chi è rimasto in servizio.  A suo parere è necessario che “Gli infermieri vengano più coinvolti nelle scelte strategiche aziendali”.

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Jassica Cardia, lavora in un presidio di periferia, un’isola nell’isola, La Maddalena, i piccoli ospedali, si sa, sono stati i più colpiti dai tagli dissennati degli ultimi vent’anni. Quello ha resistito ma in questo periodo ha rischiato davvero tanto, quando è arrivata la pandemia l’azienda voleva declassarlo da punto di Pronto Soccorso a punto di prima assistenza e poi intendeva chiudere il reparto di medicina. “Ci siamo opposti fino ad occupare il reparto e abbiamo scongiurato il pericolo. Ci siamo riorganizzati, studiano turni fissi così da far squadra con il collega, supportandoci e motivandoci a vicenda. Spero davvero che ripensi la politica dei tagli nei piccoli ospedali e alla gestione dell’emergenza nei presidi di periferia. Oggi, e lo dico con orgoglio, La Maddalena è Free Covid”.

Francesca Rapaccini all’Ospedale Gemelli di Roma dice di esservi nata perché lì lavorava anche suo padre e nella vita proprio non voleva far altro che l’infermiera. “In Pronto Soccorso siamo abituati all’emergenza ma una cosa così non ce l’aspettavamo. Ci eravamo organizzati stravolgendo il reparto, trasformandolo in 2: area pulita e area sporca, ma quando è arrivato il prima paziente positivo è cambiato tutto. La paura è l’emozione che mi accompagna quando mi vesto, controllo e ricontrollo che sia tutto a posto ma cerco di farlo velocemente pensando ai colleghi cui devo dare il cambio che hanno 8 ore di turno sulle spalle. Il virus ha fatto scoprire che l’infermiere non è quello che fa le punture, sottolinea, ma un professionista della salute. Questa è l’occasione per intraprendere un percorso per farci valere”.

Anche l’Emilia Romagna è stata fortemente investita dall’onda pandemia e Piacenza più di tutte le altre città. Francesca Mazzari è assunta dal 2016 dal locale Policlinico, racconta di come la struttura sia stata completamente destinata alla cura dei pazienti Covid, le sale operatori trasformate in terapie intensive, ma soprattutto di come hanno operato in continuo cambiamento: “Sono stata molto orgogliosa della mia categoria, abbiamo dimostrato coraggio, senso del dovere, grande volontà di metterci in gioco. Non abbiamo, però, bisogno di elogio fine a sé stesso. Abbiamo un grande valore sociale e ci deve essere riconosciuto”.

L’ultimo intervento di questa bella, combattiva ed emozionante diretta arriva da Bergamo, dall’Ospedale Giovanni XXIII “fin troppo raccontato”, dice Giampaolo Berardi che afferma: “Noi non siamo eroi, abbiamo passione e coscienza. Noi non siamo in guerra ma la nostra emotività è stata messa a dura prova. Questa emergenza ha messo in luce la carenza dei processi organizzativi e la debolezza di un sistema fondato sugli ospedali, possibilmente privati, e l’abbandono del territorio. Noi infermieri abbiamo dimostrato di essere all’altezza, siamo flessibili, generosi, capaci di prendere decisioni e di difenderle. Occorre riformare questo sistema, conclude Berardi, ricostruendo la sanità del territorio e dando vita a strategie di prevenzioni civile e industriale”.

Se queste sono le storie e questi sono i numeri occorre innanzitutto – lo dicevamo in apertura - rinnovare il contratto della sanità privata fermo da 13 anni e per questo i lavoratori e le lavoratrici del settore si preparano allo sciopero nazionale, E’ necessario, inotre, aprire i tavoli di confronto per il rinnovo di quella pubblica che deve partire dalla riorganizzazione delle carriere. Gli infermieri e le infermiere non hanno bisogno di elogi ma di rispetto e coerenza.