Per i precari le ragioni della manifestazione del 7 ottobre “La via maestra. Insieme per la Costituzione” sono centrali. Quelle generali, che fanno riferimento alla piena applicazione della Costituzione, e quelle specifiche che riguardano lavoro, salari, dignità. Ne è convinto Andrea Borghesi, segretario generale del Nidil Cgil, che precisa: “Ci sono una serie di questioni annose sull’assetto del nostro mercato del lavoro che mettono moltissime persone in condizione di precarietà e di difficoltà. A partire dalle troppe forme contrattuali esistenti, che andrebbero ridotte. Ma il governo che fa? Va in direzione contraria”.

Ci può spiegare meglio segretario?
I provvedimenti approvati da questo governo, in particolare quelli sul lavoro a termine, non fanno altro che peggiorare le cose: i rapporti a termine aumentano, ormai si contano 3 milioni di lavoratori, spesso con contratti brevissimi.

Per la somministrazione è stato tolto qualsiasi paletto al rinnovo dentro i dodici mesi: stesso rapporto, con lo stesso lavoratore, con la stessa azienda utilizzatrice, liberamente, senza alcun limite. Questo è un elemento di ulteriore precarizzazione che si ripercuote pesantemente nel settore dei servizi, oltre che in quello industriale. Senza contare l’ampliamento dell’uso dei voucher che non risolve i problemi ma li aumenta.

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Quanto i lavoratori precari vivono sulla propria pelle le disuguaglianze?
Tanto. Prenda le centinaia di migliaia di lavoratori delle piattaforme digitali, rider e addetti alle consegne a domicilio. La loro attività è inquadrata come autonoma occasionale, senza contribuzione, senza previdenza, senza alcun limite dal punto di vista lavoristico e senza nessun riferimento retributivo contrattuale.

Se hanno una partita Iva, caricano su di sé l’onere contributivo. Per questo sarebbe necessario definire per legge i compensi, in modo che valgano per tutti, agganciati ai minimi dei contratti collettivi: un equo compenso che sia in vigore anche per le professionalità non ordinistiche, con un ragionamento che lo abbina a quello aperto sul salario minimo.

In effetti il tema dell’assetto del mercato del lavoro e delle crescenti disuguaglianze è scomparso dal dibattito, come se non fosse più un problema per questo Paese.
È così. Non si affrontano le disuguaglianze e non si agisce per migliorarle. La situazione dei lavoratori disoccupati, che potevano ambire al reddito di cittadinanza, è stata sconvolta. Si è passati a un piccolissimo reddito riservato a pochi e solo a patto che si attivino processi, che però sono incagliati nei centri per l’impiego. Una serie di studi internazionali, non del sindacato, ha confermato che la flessibilità del mercato non ha migliorato le condizioni di lavoro e neppure la produttività.

Quali sono i motivi principali per scendere in piazza secondo lei?
Ce ne sono tantissimi. Dalla fragilità delle condizioni di lavoro, appunto, fatto anche di part-time e di differenze salariali, alle difficoltà di accesso al mondo del lavoro, popolato da tirocini extracurriculari fasulli. Dalle politiche per la casa, per studenti e famiglie, a una legge sulla rappresentanza per combattere i contratti pirata. Fino alla condizione previdenziale di giovani e meno giovani: la stragrande maggioranza dei precari iscritti alla gestione separata non raggiunge un anno di contribuzione piena pur lavorando tutto l’anno.

Per questo noi chiediamo una pensione di garanzia. In risposta all’enorme mole di problemi che abbiamo, e ne ho citato solo alcuni, il governo mette mano a una riforma fiscale non è equa, perché destinata a favorire maggiormente chi ha più reddito. Se non sono questi validi motivi per protestare…