"Chi ci vuole omologare nella celebrazione della lotta alla mafia che si esaurisce con la posa delle corone di fiori non ci interessa. Le corone di fiori dopo qualche giorno cominciano a puzzare. E qui in Sicilia sono 31 anni che deponiamo corone di fiori". Il messaggio di Mario Ridulfo, segretario generale della Cgil Palermo, arriva chiaro, forte, duro. È la risposta, ma anche il commento amaro, a quello che è successo lo scorso 23 maggio a Palermo, quando il corteo del coordinamento dei sindacati, delle associazioni e degli studenti è stato respinto a suon di cariche della polizia una volta giunto nei pressi dell'albero Falcone in via Notarbartolo. Le immagini hanno fatto il giro del Paese e scosso le coscienze. Una reazione, quella chiesta alle forze dell'ordine, che il segretario della Camera del Lavoro di Palermo fa fatica a spiegare.

(Mario Ridulfo durante la manifestazione)

"La manifestazione che avevamo programmato con gli altri soggetti anche del mondo giovanile era una manifestazione diversa, anche solo nel linguaggio. Ci sono stati elementi di novità anche rispetto alle associazioni storiche con cui abbiamo costruito tante altre iniziative. Sono tornati a sfilare i lenzuoli che per anni sono stati simbolo di antimafia e di coraggio nelle strade di questa città. Tutto si è svolto in una maniera molto bella e anche scenografica, colorata. Tante persone alla partenza, tanti cittadini che si sono uniti lungo il corteo. Eppure avevamo capito che sarebbe stata una giornata complicata perché già tra sabato e domenica avevamo ricevuto sollecitazioni dalla Questura a chiuderla prima. Eravamo circa duemila e l'intento era quello di arrivare all'albero di Falcone e partecipare al minuto di silenzio, cosa che abbiamo fatto senza disordini".

E allora perché c'è stata questa reazione scomposta della polizia? "Probabilmente ha dato fastidio l’idea stessa che ci potesse essere un altro corteo che si sovrapponesse, secondo la loro logica, a quello istituzionale. In più c'è stato il sospetto, infondato e assolutamente non corrispondente alle nostre intenzioni, che fossimo lì solo per contestare. A dimostrarlo ci sono i fatti: non c'è stato alcun episodio di contestazione o violenza e dopo il minuto di silenzio il corteo si è sciolto pacificamente. Nessun fatto ascrivibile agli organizzatori può essere letto come un intento provocatorio o violento, la quiete è stata rotta solo dal lancio 'anonimo' di una bottiglia. Nient'altro".

Segretario, lasciandoci alle spalle quel che è accaduto, qual è il vostro messaggio? "Noi dobbiamo continuare nella nostra azione di iniziativa sia sul piano culturale che sociale. La lotta alla mafia, come l’abbiamo declinata noi nel corteo, è anche una lotta per i diritti. Per noi la lotta alla mafia e la lotta per i diritti camminano insieme. Altrimenti rischiamo di relegare l’antimafia a una mera celebrazione. Non è sufficiente, in un territorio in cui la mafia è ancora presente nei quartieri, nella provincia, nei comuni, nella politica, nell’economia”.

"E noi non vogliamo limitarci a celebrare. La Cgil ha fatto sempre un esercizio di memoria e ha sempre celebrato coloro che hanno dato la vita per fermare la mafia, ma contemporaneamente ha sempre lottato per i diritti sociali. perché l'assenza di quei diritti favorisce la mafia. Anche la mobilitazione attuale sta dentro a questo ragionamento. E questa idea non è nuova, anzi, è antica. La Cgil la sostiene da sempre, dalla prima strage di mafia che si ricordi, 130 anni fa, nel 1893, quella dei fasci siciliani, via via poi con le stragi di Giardinello, Marineo, fino a Portella della Ginestra nel 1947, per arrivare all'uccisione di Falcone e Borsellino. Per noi - ci spiega Mario Ridulfo - la lotta alla mafia e la lotta per i diritti sono due aspetti della stessa battaglia".