Ciò che sta accadendo in tutti i settori del mondo del lavoro, dal manifatturiero, al terziario, ai servizi, non è altro che la conferma di un apparato produttivo italiano che ha scelto di giocare la carta della competitività in Europa e nel mondo sul basso costo della manodopera e quindi sullo sfruttamento, sulla precarietà praticate in modo sistematico e talvolta spietato.

Insomma il capitalismo italiano ha scelto la "via bassa" dello sviluppo che già alla fine degli anni '90 la Cgil denunciava come scelta scellerata. Le imprese, orfane della svalutazione competitiva della lira, hanno continuato a giocare tutto sul basso costo del lavoro mentre gli altri paesi europei hanno investito in ricerca e in innovazione di prodotto e di processo. Stiamo così perdendo clamorosamente la corsa. Il Paese, e in particolare il lavoro, si impoverisce e il nostro apparato produttivo finisce per essere fuori gioco.

La Cgil è da sempre per la "via alta" dello sviluppo e questa è la sfida che lanciamo al Governo e alle imprese. È una sfida necessaria, attraverso la quale pensiamo si possano dare risposte alle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori e dare al paese una prospettiva che francamente è assente da troppo tempo.

È una sfida che possiamo vincere. Da qui alle infiltrazioni delle mafie nel sistema economico, produttivo e sociale il passo è breve. Sì, perché questo sistema illegale ha bisogno di false cooperative, di cambi di appalti frequenti, di caporali, di caporali dei caporali, di immigrati ricattabili. Tutto questo solo la malavita organizzata riesce a garantire.

Prendiamo, per rendere più comprensibile e concreto questo ragionamento, un caso emblematico che la Procura di Milano lo indica come caso di "normalizzazione della devianza economica": una "società leader della logistica", con sede nel centro di Milano, che esibisce una "struttura formale" rispettosa di tutte le norme, ma in realtà gestisce "un mondo parallelo" dove "le pratiche illecite di evasione fiscale e sfruttamento dei lavoratori sono promosse e considerate normali". Nel decreto del Tribunale si legge che la Brt (ex Bartolini) "ufficiale" dichiara di avere circa quattromila dipendenti, assunti con regolari contratti. Le indagini hanno però svelato che "quantomeno altri 18 mila" camionisti operano per conto della Brt. Come?

Attraverso le "società-serbatoio" che gestiscono tutta l'attività illegale: evadono tasse e contributi, non rispettano le norme sulla sicurezza, non pagano ferie, giornate di malattia e tredicesime. E in caso di incidenti stradali o infortuni su lavoro, non si chiama l'ambulanza: il ferito va portato in ospedale da "persone di fiducia". Nel girone infernale dei più sfruttati ci sono i "finti padroncini". Circa un terzo dei presunti "fornitori esterni", ovvero 975 società, hanno in realtà un solo dipendente e un unico mezzo: un autista con un furgone con il logo della Brt. "Li chiamano lavoratori ibridi, perché non sono autonomi, non hanno la partita Iva", ha testimoniato una sindacalista della Filt Cgil, svelando una "prassi aziendale" poi confermata e documentata da decine di lavoratori. "Risultano dipendenti delle ditte esterne, anche se lavorano da anni a tempo pieno per la Brt. Per essere assunti devono pagare un anticipo per diverse migliaia di euro, registrato come prestito per l'acquisto del camion, ma non ne diventano proprietari. Quindi devono restituire ogni mese una rata con gli interessi, come trattenuta sullo stipendio. Benzina, autostrada, riparazioni, incidenti, multe, infortuni, sono tutti a loro carico. Dipendono totalmente dai capi-sede della Brt, che ha la regia diretta del loro lavoro. I rappresentanti delle ditte fornitrici fanno solo da postini per la consegna delle buste paga".

L'istruttoria continua e ha già coinvolto anche i fornitori più ricchi, come un gruppo di società controllate da un certo Antonio Suma, che è arrivato a fatturare, nel 2021, circa 150 milioni di euro, grazie al lavoro di 2.787 corrieri. Dal 2013 al 2020 lui e la moglie risultano aver trasferito in Svizzera almeno 10 milioni, tramite una loro società di consulenze, che ha un nome beffardo: Volp Service. Per evitare una crisi aziendale i giudici di Milano hanno lasciato in carica il consiglio di amministrazione della Brt, affiancato però da un commissario giudiziario. L'obiettivo prioritario, indicato dal Tribunale, è "salvare i posti di lavoro e regolarizzare tutti i contratti". La Brt ha riconosciuta che la procedura non ha intralciato l'attività e non ha causato "alcun ritardo nelle consegne". Tuttavia la Brt di internaĺizzare questi lavoratori non ne vuole neppure parlare.

Purtroppo non siamo di fronte a un episodio, seppure gravissimo, circoscritto. Siamo altresì di fronte a centinaia di casi nei quali il sistema sopra descritto si manifesta in tutta la sua gravità. Le numerose inchieste condotte dalla magistratura parlano chiaramente e rendono evidente come, fra le altre cose, attraverso questo sistema si ricicla il danaro sporco, quello mafioso realizzato con l'usura, con il traffico di droga. Come? Ad esempio con il sistema delle fatture false per evadere l'Iva. La collaborazione con la magistratura, da parte delle nostre strutture, è fondamentale. Come è fondamentale stare dentro quei processi costituendoci partecCivile. Stare dentro i processi costituendoci parte civile consente al sindacato di dare continuità alla azione di tutela dei lavoratori. Consente di conoscere i fatti, di conoscere il sistema attraverso il quale quei fatti sono potuti accadere. Insomma è un esercizio utile a tutti coloro che sono impegnati nel contrasto a questa deriva che sta soffocando il nostro Paese.

Luciano Silvestri è responsabile Legalità della Cgil Nazionale