Il sisma che ha colpito i territori sul confine tra Turchia e Siria ha coinvolto città e villaggi, provocando un numero elevatissimo di vittime. Esponenti scientifici hanno evidenziato come da tempo fossero sotto la loro attenzione i rischi legati a una forte e repentina urbanizzazione, con un tessuto edilizio precario e non rispondente a criteri di sicurezza, in ambiti fragili e nei quali il pericolo di eventi sismici era largamente prevedibile. Ma senza ottenere grandi riscontri da parte del governo turco.

Secondo quanto ha rivelato alla Bbc Pelin Pinar Giritlioglu, capo dell'unione delle Camere degli ingegneri, degli urbanisti e degli architetti di Istanbul, fino a 75 mila edifici in tutta la zona colpita dal terremoto sono stati condonati. Una realtà che come in ogni drammatica situazione di questo tipo, in qualsiasi parte del mondo si verifichi, fa riemergere la necessità di minimizzare gli effetti di eventi catastrofici attraverso la prevenzione e la manutenzione del territorio.

L'Italia come la Turchia

Come la Turchia, l’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico del Mediterraneo, per la fragilità del patrimonio edilizio e per la sua particolare posizione geografica, dimostrata dalla frequenza dei terremoti che l’hanno storicamente interessato e l'intensità che alcuni di essi hanno raggiunto, con forti impatti sociali, costi economici, perdite in termini di vite umane. Il rischio interessa quasi 21 milioni di persone, anche per la contestuale presenza, in molte zone del Paese, di altri rischi naturali (frane, alluvioni, e così via) i quali, uniti a una forte impermeabilizzazione, amplificano condizioni di fragilità del territorio e problemi di sicurezza.

Deve tornare allora al centro dell’attenzione il tema della prevenzione, non legato a misure sporadiche, ma a una visione strategica. E quello dei controlli sulle costruzioni, del contrasto totale a qualsiasi tipo di condono, del rispetto delle regole.

Bonus senza strategia

Una visione che non può tradursi nel trasferimento ai cittadini della risoluzione del problema della sicurezza, come avvenuto con il Sismabonus varato nel 2007, portato poi al 110 per cento della spesa sostenuta, senza programmazione e senza individuazione di obiettivi e criteri di priorità legati alle zone a più alto rischio. Una misura che, infatti, a fronte di ampi stanziamenti, ha avuto poca efficacia e scarso rilievo soprattutto in relazione alla componente antisismica: è stato stimato che questa ha comportato importi pari ad appena un decimo rispetto a quelli complessivi del Superbonus 110.

Sono noti i motivi che hanno inficiato l’impatto della misura in generale, legati ai tempi brevi, alle incertezze normative e alle numerose modifiche intervenute, alle complessità connesse agli interventi nei condomini. Rimane comunque il rilievo della questione della sicurezza rispetto a quella, seppure di grande emergenza, della riqualificazione energetica.

Previsione e programmazione a lungo termine sono quindi necessarie per raggiungere risultati significativi. Così come l’individuazione di matrici di priorità, vista l’enorme distanza esistente tra le risorse necessarie e quelle realisticamente disponibili.

La proposta Cgil 

La Cgil, nella sua “Proposta per una legge quadro per la riduzione dell'impatto delle calamità naturali, per la qualità nelle ricostruzioni e per la salvaguardia dai rischi” del 2021, aveva lanciato l’ipotesi di partire dai comuni a più alto rischio, individuando alcuni percorsi possibili, anche in relazione alla concessione dei contributi, secondo principi di maggiore equità.

Si tratta di un progetto necessario per il Paese, che puntando sulla manutenzione del territorio, mette in campo azioni ex ante rispetto alle lunghe e poco efficaci azioni ex post, legate a ricostruzioni interminabili. E che attiva un percorso di creazione di occupazione con un obiettivo di medio periodo, generando anche processi di riduzione della disuguaglianza e di inclusione sociale.

Allo stesso tempo, bisogna agire contrastando qualsiasi operazione di sfruttamento illecito e abusivo del suolo e tutte le forme di condono che legalizzino questo sfruttamento. È importante ricordare sempre che le fasi dei tre condoni edilizi legati a leggi speciali (1985, 1994 e 2003), hanno coinciso con i picchi maggiori di opere abusive. Nonostante i rischi e gli eventi drammatici che ne sono seguiti, in Italia nel 2021 le costruzioni abusive rappresentavano il 13,1 per cento, con ampie differenze geografiche: secondo il Rapporto Bes 2021, il 28,2 per cento delle costruzioni totali al Sud è abusiva.

Demolire e vigilare

Il tema è strettamente legato alla necessità delle demolizioni, con costi importanti per la collettività: secondo una stima minima, gli edifici da abbattere perché abusivi sono intorno ai 40 mila, con un costo di 100 mila euro ciascuno: secondo Legambiente, dal 2004 al 2020 sono state emesse 57.250 ordinanze di demolizione, ma di queste solo 18.838 sono state eseguite, pari al 32,9 per cento, con Regioni completamente ferme.

Nel nostro “fragile territorio” è necessaria una forte vigilanza, senza consentire sanatorie continue, che oltre a consolidare un patrimonio al di fuori delle norme di sicurezza, consolida anche l’intollerabile e pericoloso principio della tolleranza dell’illegalità. Mentre in Turchia cresce la rabbia per il fatto che la scarsa applicazione dei regolamenti edilizi ha contribuito al crollo di molti edifici, la tragedia che ha colpito questo popolo ci deve servire da monito.

Laura Mariani è responsabile delle politiche per la ricostruzione e la prevenzione antisismica della Cgil