Secondo le stime il terremoto in Irpinia del novembre 1980 provocherà 2.914 i morti e danneggerà 362.000 gli edifici in 687 comuni, compresi Benevento, Matera, Napoli, Potenza, Salerno e Foggia; gli sfollati saranno oltre trecentomila. In quei luoghi la sera del 23 novembre, a quindici chilometri di profondità, si verificano in successione tre distinte rotture che raggiungono la crosta terrestre provocando uno squarcio tuttora visibile lungo 35 chilometri.

Le testimonianze

“Ho fatto la prima guerra mondiale - dice fra le lacrime un uomo - ho visto la seconda, ma non ce la faccio a vedere tutto questo. Domenica ho pensato di morire, forse sarebbe stato meglio”.

“Di quei terribili novanta secondi di inferno - raccontava qualche anno fa Claudio Gubitosi, ideatore e fondatore del Giffoni Film Festival - ricordo il boato. E poi il silenzio di polvere, attonito e sordo. Era una domenica di fine novembre ma la temperatura era alta e il cielo rosso. Era il 1980. Erano le 19.34. La memoria del terremoto del 23 novembre, il sisma che fu poi denominato dell’Irpinia, è come un taglio di cesoia. Perché quella tragedia rappresenta per tutti noi della Campania, e più in generale del Mezzogiorno d’Italia, un evento spartiacque. Nella nostra coscienza e nella nostra mente c’è un prima ed un dopo. Prima del terremoto e dopo il terremoto. Anche per me è stato così. Negli anni successivi, quando ti capitava di raccontare un episodio qualunque, la prima domanda era: ma è successo prima o dopo il terremoto? (…) L’urto del sisma mi fece comprendere da subito che era accaduto qualcosa di davvero terribile. Mi gettai immediatamente per strada. Volevo capire cos’era accaduto, soprattutto alle persone che erano in sala.  Appena fuori ho percepito un senso di sgomento misto alla paura, una sensazione difficile da descrivere e mai provata dopo”.

“Non ho mai dimenticato quel pianto delle bambine che abitavano al piano di sotto - aggiungeva un sopravvissuto - Quando sono diventato padre, ho capito a cosa potesse corrispondere. Ho capito il dramma dell’impossibilità del genitore di poter andare vicino alle figlie che piangevano e non riusciva a toccarle, non poteva salvarle”. “Non abbiamo nemmeno avuto la percezione di ciò che stava accadendo - prosegue il terribile racconto - Ci siamo risvegliati non saprei dire nemmeno quanto tempo dopo incastrati tra i piloni di cemento armato, sotto tre piani di macerie. Con la gola riarsa dalla polvere decidemmo di cominciare a gridare aiuto una volta ciascuno, poi una volta ogni minuto. All’appartamento sopra di noi abitava una coppia di ragazzi, marito e moglie. Quando la terra cominciò a tremare lei era salita a casa con la spesa, lui stava parcheggiando l’auto nel garage. Fu una questione di pochi secondi: lui cominciò a cercare disperatamente la moglie tra le macerie, ma lei non gli rispose mai. Era morta. Mentre la cercava sentì però le nostre voci e ci parlò: qualcuno sapeva che eravamo ancora vivi”.

“Guardo e cerco di capire - scriveva Alberto Moravia - di riflettere; e ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano; adesso sono macerie e sotto quelle macerie stanno sepolti gli abitanti, altrettanto invisibili che i morti di quel cimitero che vedo laggiù, con il suo recinto, e le sue file di tombe, i suoi cipressi. Soltanto, un paese non è un cimitero; non può esserlo che in una o due terribili occasioni; e così comincia ad albeggiarmi nella mente l’orrore che vado scoprendo e che ancora mi aspetta (…) i morti stanno nella maceria come un orrendo condimento a una pasta dolce. Eccone uno: tra il polverone e la folla, distinguiamo a metà altezza una testa, mezza spalla, un braccio tutto pesto di un colore grigio-ghisa, che sporgono immobili e rigidi dal magma polveroso. Intanto il coro continua. Ce ne sono tanti sotto terra che sono vivi come noi qui fuori, ma ancora per poco. Si lamentano, chiamano e poi, non dicono più niente alla fine”.

Il presidente Pertini

Sandro Pertini, nonostante il parere contrario del presidente del Consiglio Forlani e altri ministri e consiglieri, si reca in elicottero sui luoghi della tragedia. Di ritorno dall’Irpinia parla agli italiani.
“Italiane e italiani - dirà - sono tornato ieri sera dalle zone devastate dalla tremenda catastrofe sismica. Ho assistito a degli spettacoli che mai dimenticherò. Interi paesi rasi al suolo, la disperazione poi dei sopravvissuti vivrà nel mio animo (…) a distanza di 48 ore, non erano ancora giunti in quei paesi gli aiuti necessari. È vero, io sono stato avvicinato dagli abitanti delle zone terremotate che mi hanno manifestato la loro disperazione e il loro dolore, ma anche la loro rabbia. (…) Quello che ho potuto constatare è che non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. (…) Nel 1970 in Parlamento furono votate leggi riguardanti le calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non sono stati attuati i regolamenti di esecuzione di queste leggi. E mi chiedo, se questi centri di soccorso immediati sono stati istituiti, perché non hanno funzionato (…) A tutte le italiane e italiani, qui non c’entra la politica, qui c'entra la solidarietà umana, tutte le italiane e italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi loro fratelli colpiti da questa nuova sciagura. Perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”.

La solidarietà del mondo del lavoro

I sindacati sono tra i primi ad accogliere l’appello alla solidarietà lanciato dal presidente Pertini di fronte alle telecamere del Tg2 la sera del 25 novembre attivando un generale moto di solidarietà che coinvolgerà i lavoratori e le sigle sindacali di tutta Europa (aiuti arriveranno dalla Cgt, da Solidarność, dall’Austrian Trade Union Federation, dai sindacati inglesi e dalla confederazione sindacale Norvegese, solo per citare alcuni tra i più noti).

La Federazione unitaria riuscirà a inviare nelle aree terremotate duecento camion di generi alimentari, cento camion e diciassette autotreni di abbigliamento, sette camion di materiale da campeggio, 180 camion di generi vari, due camion di materiale elettrico, un camion di prodotti per l’igiene, tre camion di stufe, medicinali per complessivi ottanta quintali (i fondi raccolti dal sindacato dopo la prima fase di emergenza saranno destinati alla creazione di centri sociali in Campania e in Basilicata.).