“Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale”. Lo affermava Paolo Borsellino ma è una frase che descrive chi è Giuseppe Antoci, un uomo che ha incontrato la mafia quasi per caso, svolgendo il suo compito di presidente del Parco dei Nebrodi ma non si è voltato dall’altra parte. Ha svelato una vera e propria truffa all’Unione europea, architettata da capi cosca potenti che attraverso semplici “autocertificazioni” ricevevano milioni di euro sottraendoli – e sottraendo terreno – all’economia reale e allo sviluppo del territorio.

Antoci ha detto no, ha fatto in modo che anche per accedere a piccoli contributi non fosse più sufficiente l’autocertificazione antimafia, ma fosse necessaria la certificazione delle forze dell’ordine che per redigerla hanno indagato e hanno scoperto così la mega truffa. Quel Protocollo di Legalità, che porta il nome dell’allora presidente del Parco dei Nebrodi, è diventato uno dei pilastri del Nuovo Codice Antimafia, e una delle raccomandazioni dell’Unione europea suggerita per l’accesso ai fondi. Ad Antoci non voltarsi dall’altra parte è costato un attentato gravissimo a cui è scampato grazie alla professionalità e alla passione di quattro “angeli custodi” e all’auto blindata, e una vita sotto scorta per lui e la sua famiglia. Oggi, all’indomani della sentenza che condanna a oltre 600 anni di carcere chi quella truffa ha pensato e costruito, Antoci dice: “Abbiamo vinto tutti”.

Cosa significa per lei oggi la parola legalità?
Vuol dire un impegno quotidiano fatto di rispetto delle norme e di testimonianza. Gli ultimi otto anni li ho vissuti nelle scuole e università, incontrando migliaia di giovani. E la parola legalità è intrisa di passione, non solo la mia, ma di tutte le persone che ho incontrato.

E la parola giustizia?
La parola giustizia in questi giorni è una carezza al cuore, ma questa è una emozione privata che riguarda me e la mia famiglia. Oggi, dopo la sentenza del Maxi processo di Messina è un segnale al Paese di efficienza e affidabilità. Una Procura della Repubblica, coordinata dal procuratore De Lucia, ormai da pochi giorni il procuratore di Palermo, un tribunale presieduto dal dottore Scavuzzo, hanno portato a sentenza una delle indagini antimafia tra le più importanti della Sicilia, che non ha precedenti sul piano europeo, che ha smantellato una truffa milionaria ai danni non solo della Unione europea ma anche ai danni degli agricoltori onesti. E in 16 mesi arriva una sentenza che condanna nove persone su dieci a 640 anni di carcere. Ecco, queste due parole, legalità e giustizia, oggi si fondono in un unico risultato: un territorio liberato e tante persone perbene che possono respirare profumi diversi di libertà e di giustizia.

Tutto è cominciato grazie al “Protocollo Antoci”, poi divenuto uno dei pilasti del nuovo Codice Antimafia approvato nel 2017, quello riscritto dalla Commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi, e approvato in via definita dalla Camera dei Deputati con 259 voti a favore 107 contrari e 28 astenuti
Il Maxi processo è il risultato del lavoro investigativo, importantissimo, dei carabinieri del Ros e della Guardia di Finanza. Non ci dimentichiamo, è stata fatta un'indagine veramente di altissimo livello che ha utilizzato il Protocollo di legalità che noi abbiamo creato e che - come lei ricordava - è diventato uno dei tre cardini del nuovo Codice Antimafia. La Commissione europea l'ha consigliato con un'apposita nota agli Stati membri: da seguire come esempio per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose nei fondi europei, anche negli altri Paesi, impedendo che attraverso autocertificazioni si potesse partecipare ai bandi europei. In fondo il protocollo è tutto qui.

Ci spieghi meglio
Quando sono stato nominato presidente del Parco dei Nebrodi, forte della mia esperienza di “bancario” e della collaborazione di alcuni sindaci dei Comuni che insistevano nell’area del Parco, mi sono accorto che era “troppo facile” partecipare all’assegnazione dei bandi europei per i fondi per l’agricoltura visto che per i bandi sotto i 150mila euro era sufficiente l’autocerficazione. "Uomini d’onore", familiari e prestanome partecipavano ai bandi per l’assegnazione dei terreni impedendo alle persone per bene di parteciparvi, e poi accedevano all’assegnazione dei fondi europei.

E poi il Protocollo...
Abbiamo deciso di portare a zero la soglia per l’autocertificazione, così per partecipare a qualunque bando serviva e serve la certificazione antimafia fornita dalle prefetture e dalle forze dell’ordine. Quando le richieste di certificazione sono cominciate ad arrivare, polizia e carabinieri hanno avviato le istruttorie e hanno scoperchiato il mondo delle truffe milionarie. Da lì è partita l’indagine che ha portato alla sentenza della scorsa settimana. Insomma, è saltato un tappo. Una truffa che durava da tanti e tanti anni e che è servita a fornire risorse alle famiglie dei carcerati, al mercato della droga. Un meccanismo che portava un flusso enorme di milioni di euro più conveniente - così hanno dichiarato alcuni imputati - del pizzo: perché rischiare di esser denunciati da un imprenditore che non voleva sottostare all’estorsione quando i soldi arrivavano direttamente sui conti correnti dai fondi europei per l'agricoltura? Quello che abbiamo fatto è stato rompergli le uova del paniere.

Oltre a rompere le uova nel paniere avete anche fatto in modo che le risorse europee venissero, finalmente, utilizzare per creare sviluppo ed economia buona
E non solo in Sicilia. Attenzione, noi stiamo parlando di un sistema che si fondava non solo su aziende agricole inesistenti, ma su terreni finti. Basti pensare che questi personaggi erano riusciti a inserire particelle catastali della base nato di Niscemi o delle piste dell’Aeroporto di Punta Raisi a Palermo o ancora di un campo di calcio di Reggio Calabria tra quelle su cui prendevano i soldi. Stiamo parlando di una cosa che, se quando l’abbiamo scoperta nel 2013/2014 l’avessimo raccontata per come era, non ci avrebbe creduto nessuno. Attraverso il meccanismo del Protocollo della Legalità siamo riusciti a smascherare tutta la truffa.

Che cos'è oggi il parco dei Nebrodi?
Un posto stupendo con alle spalle l’Etna, di fronte i boschi, i laghi, il mare, le isole Eolie. Uno dei posti più belli del mondo popolato da tantissime persone perbene, sono la stragrande maggioranza. È bene ricordare, però, che nell'ordinanza di custodia cautelare del giudice delle indagini preliminari dell'Operazione Membro furono arrestate 94 persone, sequestrate 151 aziende per mafia, Il giudice parla di un territorio di anime morte. Una frase terribile, perché quella gente perbene, quegli agricoltori che si alzano la mattina alle quattro e si spaccano la schiena a lavorare fino alla sera, non solo non potevano ottenere i fondi perché li ottenevano i mafiosi, ma quando provavano a chiederli venivano vessati, umiliati e minacciati. Più di una volta è successo che agricoltori, provando a partecipare ai bandi, scoprivano che sui propri terreni i fondi li aveva ottenuti “qualcun altro” e non potevano nemmeno vendere il terreno perché era oggetto di contribuzione europea. Il vero protagonista di quella vicenda è il silenzio di quei lunghi anni. Tanti sapevano e nessuno parlava. E dentro questo silenzio ci sono altri due protagonisti: la paura e la connivenza. Io la paura la comprendo, non l'accetto ma la comprendo perché è un sentimento con il quale faccio i conti ogni giorno, le connivenze no.

Dal punto di vista economico e dello sviluppo, ora che cosa c'è nel Parco dei Nebrodi? Quelle terre sono state restituite agli agricoltori veri?
Oggi c'è un sentimento di libertà, chi vuole partecipare a un bando pubblico per l'affitto dei terreni della Regione, dei Comuni, può farlo. Questo ovviamente non vale solo per i Nebrodi ma vale ormai anche per tanti altri territori. Quei personaggi non possono più partecipare perché non possono più depositare l'autocertificazione. I terreni che per anni sono stati in mano di “quei signori” oggi invece sono in mano agli agricoltori perbene, ai giovani che vogliono farsi delle loro attività. Questa sentenza, arrivata mentre la Sicilia è riscaldata dal sole, afferma che la giustizia funziona, che la mafia si può battere, che la mafia continuerà a perdere fin quando noi lo vorremo, ognuno facendo un pezzettino.

Che cosa significa invece per lei e per la sua famiglia questa sentenza?
Sono stati anni difficili, di privazioni. L’esercito a presidio della nostra abitazione, le mie figlie sempre accompagnate dai carabinieri. È una vicenda molto dolorosa. E in tutto questo percorso lo Stato c'è stato sempre. Noi abbiamo sentito vicino tutti, in primo luogo il presidente Mattarella, che ci ha voluto al Quirinale. E voglio ancora una volta dire grazie a quattro valorosi uomini della polizia di Stato che quella notte in un gravissimo conflitto a fuoco hanno salvato la mia vita e mi hanno portato a casa da mia moglie e dalle mie figlie. Mi hanno fatto continuare questa battaglia che non è una battaglia di una persona, è una battaglia di tante persone perbene, perché noi persone perbene siamo tante più di loro.