“Di Agostino Novella - scriveva in occasione del decimo anniversario della sua morte Gerardo Chiaromonte su l’Unità - non credo conoscano molto le giovani generazioni di militanti e anche di dirigenti del Pci: ciò è dovuto a diverse ragioni, e fra queste alle caratteristiche stesse della sua personalità che furono sì di grande forza e coerenza, e di straordinaria capacità di riflessione ed elaborazione politica ma anche di grande riservatezza e modestia. Per tanti aspetti, Novella conservò, per tutta la sua vita, anche quando assunse ruoli di grande responsabilità in Italia e su scala internazionale, le caratteristiche di ritrosia che sono proprie di tanti operai genovesi”.

Partigiano, Novella è alla guida della Federazione romana del Pci dalla fine del 1943 alla Liberazione, passando poi a guidare la Federazione di Genova.  Deputato alla Costituente per il collegio di Genova e rieletto in tutte le successive legislature, dopo un breve periodo come segretario comunista lombardo entra nella Cgil di Di Vittorio assumendo nel 1949 il ruolo di responsabile dell’Organizzazione.

Dopo la sconfitta della Cgil alle elezioni delle Commissioni interne alla Fiat del marzo 1955 Novella viene chiamato a dirigere la Fiom e alla morte di Giuseppe Di Vittorio, nel novembre 1957, è eletto segretario generale della Cgil.

Sarà lui a guidare la Confederazione nel difficile tornante degli anni Sessanta, dagli spari in Piazza di Genova, Roma, Reggio Emilia, Palermo all’autunno caldo, al sindacato dei consigli, alla approvazione di quello Statuto dei lavoratori divenuto legge pochi mesi dopo il suo addio. Un addio non facile, avvenuto alla fine di un Congresso - quello del 1969 - difficile.

“C’erano attese notevoli da parte dell’organizzazione - racconterà anni dopo Aris Accornero - con paure e speranze. Il nodo vero non era tanto l’unità: Novella in verità era scettico ma all’interno della confederazione e fuori, nelle fabbriche, la spinta era fortissima e del resto il processo era andato avanti proprio su impulso della stessa Cgil. No, il nodo di quel congresso fu il problema delle incompatibilità. Novella non aveva nessun problema a dimettersi da parlamentare. Non accettava però di doversi dimettere dall’Ufficio politico del Pci e di perdere così la sua carica politica. Non ne capiva il perché”.

Dopo la seconda giornata di dibattito al Congresso, ricorda ancora Accornero, “la sera Novella ebbe uno scontro assai duro con Luciano Lama. Scontro al quale volle che Renzo Rosso e io (lui era il suo segretario) assistessimo, imbarazzatissimi. Novella disse a Lama che la questione dell’incompatibilità era stata posta contro di lui e, soprattutto, che si faceva delle grandi illusioni sull’unità: non bastava evocarla e poi fare il sindacato unico, abbandonando tutti gli ormeggi. Era una cosa molto difficile, per la quale ci voleva molto più tempo (…) Novella ci lasciò allibiti: non voleva fare le conclusioni. Voleva andarsene, visto come andavano le cose. Renzo si trattenne con lui per calmarlo. Poi scrivemmo delle conclusioni molto diverse dalla relazione. Più di apertura. E relativamente brevi. Lavorammo tutta la notte e all’ora di colazione gliele facemmo leggere. Non so se abbia dormito quella notte. Il nostro testo comunque lo convinse. Ma era ancora troppo sconvolto e, davanti ai congressisti, lo lesse malissimo. Le conclusioni però vennero accolte da un’ovazione: in qualche modo, seppure in zona Cesarini, questo gli evitò di perdere il congresso. Molti pensarono che Novella si fosse convinto, ma alcuni mesi dopo, quando il direttivo votò le incompatibilità, si dimise per non dover rinunciare al suo incarico nell’Ufficio politico del Pci”.

Agostino Novella lascia così la Cgil.

Cari compagni - scriverà - l’ultima riunione del Consiglio generale della Cgil ha dato ulteriore sviluppo alle decisioni sull’incompatibilità, adottate dal Congresso di Livorno, e ha posto i compagni, che fanno parte degli organismi dirigenti della Confederazione, di fronte alla necessità di dover scegliere, entro breve termine, tra gli incarichi di direzione sindacale e quelli di appartenenza alle direzioni, nazionali e provinciali, dei partiti. Dopo il Consiglio generale di febbraio, ho fatto presente che le nostre decisioni unanimi sull’incompatibilità, insieme ad altre considerazioni, mi avrebbero probabilmente portato ad optare per le responsabilità politiche. Oggi vi confermo questa mia scelta e presento quindi formalmente le mie dimissioni da Segretario generale della Cgil. A tale decisione sono giunto, potete immaginarlo, dopo una lunga e tormentata riflessione. La scelta di oggi va infatti nel senso di un mio maggiore e più diretto impegno politico: è diversa cioè da quella liberamente da me compiuta al Congresso di Livorno, con la rinuncia alla carica di membro dell’Ufficio Politico del mio partito ed al mandato parlamentare. Essa mi ha posto dei problemi che toccano la ragione, ma anche i sentimenti e tutti non facilmente risolvibili. Essi nascono dal valore che hanno, per ognuno di noi, i legami di amicizia e di reciproca stima, nati in lunghi anni di comunanza nel lavoro, nella lotta, nella costruzione di una linea di politica sindacale, che ci ha trovati anche nei momenti più difficili, sostanzialmente uniti attraverso quel tipo di dialettica democratica che ci siamo consapevolmente dati, e che, in una organizzazione sindacale unitaria quale è la Cgil, ha, necessariamente, degli aspetti suoi peculiari. (…) La scelta che compio oggi esprime, nello stesso tempo, la mia convinzione che la natura, i compiti, e il tipo di attività specifica del movimento sindacale, siano essi considerati nei loro aspetti tradizionali, che in quelli nuovi, moderni, prevalenti, oggi, nella Cgil, impongono a chi ha avuto per molti, lunghi anni, densi di impegno e di lotte, la massima responsabilità di direzione della Confederazione, il dovere di considerare, ad un certo momento, l’eventualità di essere sostituito nel proprio incarico. Questa considerazione personalmente, e per quanto mi riguarda, ho sentito il dovere di farla, pur non ritenendo di avere esaurito le mie capacità di lavoro e di impegno nella lotta. Sono così giunto alla conclusione che la Cgil possa oggi procedere alla mia sostituzione. (…) Nei lunghi anni di milizia operaia e di mia permanenza alla direzione della Cgil, ho dato alla causa dei lavoratori, alla loro unità, e alle loro lotte per il rinnovamento sociale e democratico del Paese, il massimo delle mie forze. Questo impegno siatene certi, continuerà senza incertezze, o flessioni. Siate certi, che non verrà mai meno in me, la volontà di contribuire a fare ancora più forte la Cgil, più salda la sua unità, per il grande obiettivo dell’unità di tutto il movimento sindacale italiano.