La carta d’identità dell’Unione Europea è il suo modello sociale. Protezione dei cittadini, diritti dei lavoratori, dialogo sociale sono gli ingredienti di una molteplice varietà di esperienze che si sono sviluppate in tutti gli Stati membri fino a diventare politiche comuni in grado di valorizzare il significato della cittadinanza. In Europa, l’obbiettivo di promuovere un'economia sociale di mercato, che miri alla piena occupazione di qualità e al progresso sociale, non può prescindere dal riconoscimento e dalla difesa dei diritti dei lavoratori.

Nei cinquant’anni intercorsi dall’approvazione in Italia dello Statuto dei Lavoratori, il quadro normativo e di politica sociale a livello europeo è cambiato profondamente. Il Trattato di Roma, in vigore al momento dell’approvazione dello Statuto, definiva confini molto stretti per l’intervento della Comunità Economica Europea nell’area delle politiche sociali e del lavoro, limitato principalmente ai temi della sicurezza sociale per lavoratori che si spostavano in altri Stati Membri e all’uguaglianza nella retribuzione tra donne e uomini.

Nei decenni successivi il ruolo dell’Unione Europea in quest’area si è esteso progressivamente. Non si è trattato di un processo lineare, bensì di una conquista progressiva e faticosa, risultato di impegno e di lotte politiche e sociali, che ha dovuto scontare resistenze e battute di arresto. Sebbene molti aspetti delle politiche sociali restino un’area di azione prevalentemente nazionale, le trasformazioni avvenute hanno dato un ruolo significativo all’Unione Europea sui temi fondamentali dei diritti dei lavoratori e dei diritti sociali, nonché della tutela e del miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita, della lotta all’esclusione sociale e alle discriminazioni. Importanti diritti e protezioni sono stati definiti nel tempo a livello europeo e fanno ormai parte integrante del nostro modello. La dimensione sociale rende unico il progetto europeo.

 

L’Europa dei diritti
I primi decisivi passi in avanti, nella definizione di un nucleo fondamentale di diritti sociali e dei lavoratori a livello europeo, si cominciarono a muovere alla metà degli anni Ottanta, con la spinta decisiva di Jacques Delors, allora Presidente della Commissione Europea. L’Atto Unico Europeo del 1986 stabilì la possibilità di introdurre norme comuni riguardanti la salute e la sicurezza sul posto di lavoro e la definizione di una politica comunitaria per la coesione sociale ed economica. Da quel momento in poi, numerosi strumenti legislativi sono stati approvati per tutelare la salute e la sicurezza, con più di venti diverse direttive che garantiscono protezioni fondamentali per i lavoratori europei. Si tratta di uno dei risultati più significativi dell’Europa sociale.

Un passaggio di notevole importanza per quanto riguarda il riconoscimento e la difesa dei diritti dei lavoratori a livello europeo – fortemente voluto da Delors – fu l’approvazione della Carta Comunitaria dei Diritti Sociali Fondamentali dei Lavoratori nel 1989. Essa costituì un ulteriore avanzamento dal punto di vista del riconoscimento del ruolo del lavoro e dei diritti dei lavoratori nella costruzione europea. Lo stesso Delors, nell’introduzione sostenne che “la Carta sancisce i principi fondamentali su cui poggia il nostro modello europeo di diritto del lavoro e, più in generale, del ruolo del lavoro nella nostra società. Essa stabilisce una piattaforma di diritti sociali .... Atto d'identità europea, di fedeltà alle nostre origini, la Carta rappresenta un messaggio per quanti, nella Comunità e al di fuori di essa, cercano nel progresso dell'Europa un motivo di speranza".

La Carta definiva a livello Europeo i diritti fondamentali dei lavoratori, inclusi la libera circolazione, il diritto a una remunerazione equa, il riposo settimanale, le ferie annuali retribuite, una protezione sociale adeguata, la libertà di associazione e contrattazione collettiva, informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori. In seguito all’approvazione della Carta, i Trattati di Maastricht e di Amsterdam conferirono all’Unione Europea nuove importanti competenze nel campo della politica sociale.

Con tali trasformazioni istituzionali si indicava il quadro all’interno del quale importanti provvedimenti per la tutela dei lavoratori e dei loro diritti vennero introdotti progressivamente nella seconda metà degli anni Novanta e nella prima metà del decennio successivo. Si tratta, per esempio, delle direttive sulla informazione e sulla consultazione dei lavoratori, della direttiva sull’orario di lavoro, delle direttive sull’uguaglianza di trattamento tra uomini e donne, delle misure legislative antidiscriminazione e riguardanti il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale per lavoratori mobili e distaccati. Con la definizione della Strategia di Lisbona, il Consiglio Europeo, inoltre, definì nuovi strumenti e modalità di collaborazione con l’obiettivo che l’Europa divenisse “l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale’’.

Attraverso il metodo di coordinamento aperto, si aprì uno spazio di lavoro comune tra Stati ed istituzioni europee su ulteriori aree di politica sociale, come l’occupazione e la formazione professionale.

Sempre in quegli anni, anche il dialogo sociale tra sindacati e associazioni imprenditoriali a livello europeo si sviluppò conseguendo importanti risultati. Si tratta di un elemento molto significativo, dal momento che il modello sociale europeo non può prescindere dal valore del dialogo sociale e della contrattazione collettiva. Importanti accordi furono raggiunti ed implementati tramite direttive - sul congedo parentale, sul lavoro a tempo parziale e sul lavoro a tempo determinato - o autonomamente dalle parti sociali, per esempio, definendo condizioni per il telelavoro e tutele contro lo stress sul lavoro.

Altro passo in avanti, quando nel 2000 venne proclamata la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che sarebbe poi stata integrata nel Trattato di Lisbona. Essa inserisce i diritti sociali e dei lavoratori in un quadro coerente con gli altri diritti culturali, civili e politici, in un tentativo ambizioso di codificare alcuni principi del modello sociale europeo. La Carta non conferisce competenze aggiuntive all’Unione Europea, ma è vincolante per le istituzioni europee e – per quanto riguarda la trasposizione di norme europee – per gli Stati membri.

La seconda metà degli anni Duemila, con le conseguenze della grave crisi economica e un temperamento rigorista nelle politiche europee, i passi in avanti nel rafforzamento delle politiche sociali furono più limitati e in alcuni casi stentati. Inoltre, alcune sentenze della Corte Europea di Giustizia evidenziarono la necessità di miglioramenti alla direttiva sul distacco dei lavoratori e la tensione tra diritti sociali e libertà economiche. In aggiunta, la gestione da parte della Commissione e del Consiglio europeo della crisi economica e sociale e le politiche di austerità comportarono conseguenze negative assai significative dal punto di vista dei diritti sociali e dei lavoratori, in particolare nei paesi interessati dall’azione della Trojka.

Con l’insediamento della Commissione Juncker, abbiamo assistito a una inversione di tendenza e nuovi importanti provvedimenti nel campo delle politiche sociali e del diritto del lavoro sono stati approvati a partire dal 2014. In questo periodo sono state varate misure legislative per migliorare l’equilibrio tra vita professionale e privata, adeguare le condizioni di lavoro, rafforzare la protezione sociale, la tutela della salute e la sicurezza dei lavoratori. Le norme sul distacco, inoltre, sono state riviste e migliorate ed è stata istituita l’Autorità Europea del Lavoro, per tutelare in maniera più efficace lavoratori mobili e distaccati e combattere fenomeni di abusi e sfruttamento.

Ancora più importante dal punto di vista simbolico è stata la proclamazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali il 17 Novembre 2017 a Göteborg da parte del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione. Sebbene il Pilastro non abbia valore vincolante, esso riafferma l’impegno delle istituzioni europee a “realizzare risultati sociali e occupazionali efficaci in risposta alle sfide attuali e future così da soddisfare i bisogni essenziali della popolazione e a garantire una migliore attuazione e applicazione dei diritti sociali". Si tratta di un importante riconoscimento, a quasi vent’anni dall’approvazione della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dell’importanza dei diritti sociali e dei lavoratori nella difesa e nel rafforzamento del modello sociale europeo.

 

Le sfide di oggi
L’evoluzione nell’azione dell’Unione Europea, di cui gli elementi qui riportanti rappresentano solamente alcuni passaggi essenziali, è un percorso complesso, caratterizzato da importanti tutele e da limiti, anche significativi, ancora esistenti. Si tratta di un percorso non completato, su cui è necessario continuare a procedere con decisione.

Oggi, in un contesto di profonda difficoltà economica e sociale, è ancora più necessario che l’azione dell’Unione Europea sia finalizzata alla difesa e al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. A cinquant’anni dall’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, la risposta alla crisi si deve basare sul pieno rispetto e sul rafforzamento dei diritti umani, sociali dei lavoratori, attraverso la complementarietà e la relazione positiva tra strumenti, politiche e interventi europei e nazionali.

La convergenza verso l’alto delle politiche sociali ed economiche è necessaria affinché il mercato interno, l’Unione economica e monetaria e il progetto di integrazione europea funzionino in maniera efficace. È altresì necessaria affinché l’adesione dei cittadini al progetto di Unione Europea continui, si rinnovi e si rafforzi, sulla base di un destino comune di solidarietà e progresso sociale, economico ed umano.

La nostra carta d’identità è utile anche ad affrontare le nuove sfide che, in particolare, il mondo globale ci presenta. Alcune sono note, come il Green deal e la sfida digitale. Altre arrivano con l’impatto violento a seguito di una pandemia che ha fermato il pianeta. La fase nuova nella quale siamo entrati chiede di arricchire e rendere più robusto il nostro modello sociale. Siamo entrati in una fase cruciale per definire quale direzione vogliamo dare all'Europa e alle nostre società.

Serviranno scelte tanto nette quanto innovative per assicurare all’Europa la leadership della lotta ai cambiamenti climatici nel post Covid19 e al tempo stesso indicare e definire le risorse indispensabili ad assicurare il successo ai progetti messi in campo per dare concretezza ai propositi di occupazione, crescita e coesione. La linea di marcia implica una forte discontinuità con politiche di rigore e con quelle ricette che hanno aumentato le diseguaglianze. Anche le sfide ambientali possono essere risolte solo se mettiamo la riduzione delle disuguaglianze al centro dell'azione politica.

 

Ridurre le distanze (e le diseguaglianze)
La stagione che si apre sarà cruciale per l’Unione. In particolare imporrà un uso delle risorse per un’opera di ricostruzione delle nostre economie in un periodo medio lungo nel quale vi saranno forti impatti sugli standard di vita dei nostri cittadini. Gli strumenti usati in passato per affrontare le tradizionali crisi dovute al rapporto deficit-Pil non saranno utili. Due sono le direttrici di marcia per evitare di indebolire il modello sociale europeo: rafforzare il quadro istituzionale dell’Unione; accorciare le distanze fra nord e sud dell’Europa e fra centro e periferia.

Ridurre le distanze è urgente per affrontare sfide comuni, diminuire le diseguaglianze, consentire di rafforzare lo spazio europeo. All’inizio di questa legislatura europea ci siamo chiesti quale chiave di lettura fosse possibile per leggere la nostra contemporaneità. E la riflessione ha intravisto una opportunità nell'interesse comune e condiviso di lavorare per salvare il Pianeta. È piena di malattie la nostra Terra.

Anche nel dopo pandemia la salute del Pianeta può essere la leva per uno sforzo profondo di cambiamento. Ne abbiamo bisogno? È utile? Forse, non ve ne sono altre per garantire sviluppo, crescita, posti di lavoro e competitività.

Questa legislatura europea sta indicando una strada tutta da pavimentare, con l’idea fissa che nessuno dovrà restare indietro. E a maggior ragione con l’esplosione di una inedita pandemia che ha provocato una crisi così profonda da essere paragonata al secondo dopoguerra. Indietro non dovranno restare le imprese, i nostri paesi, i lavoratori. La riflessione aggiornata agli effetti del Coronavirus potrà essere una straordinaria leva di sviluppo e crescita. Come ricostruire? Cosa rilanciare? Quali protezione aggiungere ai cittadini e ai lavoratori? Sostenere il principio che nessuno resti indietro deve declinarsi in un nuovo ciclo economico che rafforzi il modello sociale europeo.

La Commissione europea ha preso l’impegno di presentare cinquanta proposte legislative nei prossimi due anni. Saranno interventi che modificheranno comportamenti industriali e finanziari, le regole dei settori produttivi, che cercheranno di rafforzare diritti sociali, sviluppare nuove modalità di trasporto, potenziare la ricerca. Certo, non basta annunciare un obbiettivo, lo sforzo dev’essere su come raggiungerlo. Ed è per questo che le agende nazionali si devono adeguare a quella europea. Per il professor Stiglitz, solo l’Europa può assumere la leadership mondiale nella lotta ai cambiamenti e offrire un modello ad un mondo senza regole che ha bisogno di regole nuove.

 

L’emergenza climatica e quella pandemica

Le fondamenta dell’opera di ricostruzione post pandemia dovranno essere il modello sociale europeo e il Green Deal. E questo sarà possibile se il rapporto fra Unione Europea e Paesi membri diventerà più collaborativo e aumenterà la fiducia nelle istituzioni come riferimento per politiche comuni. Tutte le istituzioni democratiche, non solo quelle di Bruxelles, sono devono sentirsi parte della democrazia europea. Lo sono i governi nazionali, i Parlamenti nazionali, le amministrazioni regionali e locali.

La trasformazione civile che l'Europa vuole realizzare per affrontare l'emergenza climatica e pandemica richiede che si tenga conto della dimensione sociale e della lotta alle disuguaglianze che dovranno necessariamente accompagnare questa trasformazione. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che queste sfide possono essere risolte solo se mettiamo la riduzione delle disuguaglianze al centro dell'azione politica.

Per il Parlamento l’obiettivo principale resta quello di conseguire il miglior risultato possibile per i cittadini europei e rilanciare in maniera decisa le nostre politiche europee per un’Europa più forte e protagonista nel mercato globale. Abbiamo tutti bisogno di alleanze e di sostenere uno schieramento impegnato a dimostrare che la vita dei nostri cittadini e la crescita dei nostri territori valgono per tutti, al di là delle sensibilità e delle legittime aspirazioni. Non è una battaglia che la politica può sostenere da sola. La politica può fare molte cose, ma mai senza i cittadini, i lavoratori, le imprese, i giovani.

Dopo questa pandemia la UE deve diventare un modello, perché altrimenti perderebbe funzione storica. Uno spazio di libertà non può vivere senza responsabilità e solidarietà. L’Europa non può essere utile solo a se stessa, perché non avrebbe visione e orizzonte. Essa deve essere utile agli europei certo, ai nostri paesi per stare al mondo, ma deve anche porsi nella scena globale come un punto di riferimento per diritto e democrazia. L’eredità che abbiamo ricevuto e i valori che lo spazio europeo riconosce sono il vaccino per proseguire nella straordinaria avventura europea di garantire, in un quadro di libertà, l’affermazione del valore della persona e della comunità.

(Capitolo tratto dal volume Lavorare è una parola a cura di Altero Frigerio e Roberta Lisi edito da Donzelli nel 2020)