In Italia una famiglia su quattro non riesce a pagare l’affitto. Quelle più fortunate, che si sono accollate un mutuo per comprare un alloggio, non stanno meglio: hanno accumulato 15 miliardi e 600 mila euro di rate non pagate. Le ultime rilevazioni dicono che sono state pignorate 160 mila case, mentre sul fronte locazione nel 2020 sono stati convalidati 32.536 sfratti (di cui poco più di 28 mila per morosità) e sono state richieste 22.841 esecuzioni: di queste, 5.270 sono state eseguite, nonostante la sospensione prevista per legge.

Nel nostro Paese c’è un’emergenza abitativa che riceve poca attenzione da parte di governo e Parlamento, nonostante i numeri siano allarmanti. Stando ai dati del ministero dell’Interno, con la ripresa delle esecuzioni scattata a luglio, sommando le richieste pendenti per i periodi precedenti al Covid, sono oltre 100 mila le famiglie a rischio di estromissione dall’alloggio. A questo si aggiunga che gli anni scorsi avevano visto una netta e progressiva diminuzione delle risorse previste per le misure di sostegno agli affitti e alla morosità incolpevole.

“La pandemia ha accentuato un disagio abitativo che ci portiamo dietro dagli anni precedenti, dalla crisi del 2008 e del 2011", afferma Stefano Chiappelli, segretario generale del Sunia, il sindacato degli inquilini e degli assegnatari di edilizia pubblica fondato con il sostegno della Cgil, con cui ha di recente rinnovato il patto federativo: "Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: una crescita delle disuguaglianze e difficoltà sempre più frequenti da parte delle famiglie nel corrispondere i canoni di locazione. I dati ci dicono che sono aumentati sensibilmente i poveri".

Per Chiappelli c'è stata "una riduzione delle risorse da investire sull’abitare e una sottovalutazione su come affrontare il problema della casa in Italia. E invece dovremmo invertire la tendenza, cioè fare investimenti per aumentare l’offerta di alloggi a canone sostenibile, a favore dei poveri del nostro Paese. Uso la parola 'poveri' non a caso. La Banca d’Italia ci dice che il 45 per cento delle persone che vive in affitto ha un reddito non superiore a 15 mila euro. Sono i working poor, quelli che sono poveri nonostante abbiano un lavoro”.

Le richieste di contributi per l’affitto sono triplicate, 700-800 mila domande di una casa popolare rimangono insoddisfatte. E il dato, avvertono dal Sunia, è sottostimato. I fondi nazionali coprono una piccola parte delle necessità, e solo alcune Regioni, come Toscana ed Emilia Romagna, stanziano risorse a sufficienza.

“Noi proponiamo che ciascuna Regione stanzi per la casa il 2 per cento del suo bilancio ogni anno", prosegue Chiappelli: "Abbiamo calcolato che bisognerebbe recuperare 550 mila alloggi popolari, appartamenti che hanno bisogno di ristrutturazione o di un consolidamento statico e che oggi sono sfitti. Come ha detto la Corte dei Conti: la casa è un diritto sociale attinente alla vita e alla dignità della persona, ma è anche un diritto economico condizionato dalla capacità e disponibilità delle risorse pubbliche. Ecco, quel diritto sacrosanto si scontra con le scelte economiche e politiche che ogni Paese fa”.

Il Sunia conta oggi 170 mila iscritti e 500 sportelli in tutta Italia, attraverso i quali offre consulenza e assistenza, stipula accordi, orienta le politiche abitative. Per rafforzare la sua presenza e diventare sempre più un punto di riferimento per chi deve affrontare le difficoltà dell’abitare, terrà l’assemblea organizzativa “I diritti, l’abitare, il territorio” il 9, 10 e 11 dicembre a Rimini. “Vogliamo pensare e ragionare sul domani, a come trasformarci, per rappresentare al meglio istanze e necessità delle persone, insieme e dentro la confederazione” conclude Chiappelli.