Rifiuti, trasporti, servizi essenziali ai cittadini. È questo il terreno sul quale si misura l’efficienza di un’amministrazione comunale. È questo il terreno sul quale, a Roma, si contano le macerie di un terremoto sociale che è diventato un generatore di diseguaglianze.

Perché, tanto per essere chiari, chi abita in periferia e deve raggiungere il centro con i mezzi pubblici per lavorare, oggi, oltre a dover sopportare la fatica, fatta di attese infinite e mezzi pieni come uova, corre anche il rischio per la propria sicurezza, dovuto alla pandemia.

Un rischio che diventa sanitario in quelle zone in cui la raccolta dei rifiuti procede a singhiozzo e per giorni dai cassonetti esonda spazzatura, simbolo di degrado e pericolo concreto per la salute.

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Ma le aziende partecipate di Roma Capitale non sono solo Ama e Atac. Sono molte di più, almeno 30. Sorte alla fine degli anni 90, danno lavoro a 50mila persone, considerando anche il sistema di appalti essenziale per la loro sopravvivenza, e generano un volume d’affari di oltre 3 miliardi di euro annui. Difficile tenerle fuori da una corsa elettorale che, per quanto soporifera, sempre da qui deve ripartire. Poche idee, poche proposte, di piccolo cabotaggio, abbiamo sentito dagli aspiranti primi cittadini. Una visione ben più ambiziosa e complessa ce la prefigura il sindacato, che sui lavoratori di queste aziende concentra una parte importante dei suoi sforzi e della sua attività all’interno del raccordo anulare.

Le ricordiamo tutte, una dopo l’altra, le manifestazioni di protesta organizzate in Campidoglio per chiedere una svolta. Le ricordiamo tutti le cariche insensate che, due anni fa, colpirono lavoratori e sindacalisti del territorio mentre presidiavano l’ingresso di Roma Metropolitane, simbolo della mancanza di progettualità di una Capitale che in Europa è, ancora nel 2021, tra le ultime città per copertura ed efficienza della rete dei treni sotterranei, in ritardo di oltre un secolo rispetto a sorelle quali Londra, Parigi, Mosca o New York.  

A disegnarci il quadro e illustrarci la visione dei sindacati confederali, uniti in questa piattaforma, è Natale Di Cola, che prima di entrare nella segreteria confederale della Cgil capitolina si è occupato di pubblici e il romanzo delle partecipate romane lo conosce bene.

(Natale Di Cola, segretario della Cgil Roma e Lazio)

“L’ultimo tentativo dell’amministrazione è stata la calendarizzazione, ieri, a poche ore dal voto, di una proposta di riorganizzazione di queste aziende, la stessa che a luglio avevamo bocciato. A un giorno dal silenzio elettorale”, ci ha detto subito. Una mossa propagandistica, evidentemente, un tentativo fuori tempo massimo che non cancella cinque anni di paralisi.

Una straordinaria occasione persa, questo è il destino, per ora, delle aziende partecipate di Roma Capitale. Un destino che Cgil, Cisl e Uil, con la loro piattaforma, propongono di cambiare.

Aiutaci ad orientarci in un mondo che appare sempre più complicato. Partiamo da Atac e dal trasporto pubblico che in tempi di Covid è finito più volte nell’occhio del ciclone.

Ci sono tre ambiti. Due grandi aziende che svolgono servizi di rete, Atac per il trasporto pubblico e Ama per la raccolta dei rifiuti, e tutte le altre che lavorano in disparati ambiti di servizi per i cittadini.

Le prime due – ci spiega il sindacalista – sono l’emblema del fallimento. Bocciate dai cittadini e dai lavoratori, rischiano sia sulla tenuta economica che sul livello del servizio offerto. Il concordato di Atac è in grandissima difficoltà e sui trasporti non c’è nessuna strategia di integrazione con il resto della regione. Noi proponiamo una cosa diversa: programmazione in ambito regionale attraverso un’agenzia unica della mobilità, integrazione forte con tutti i vettori, dalle ferrovie alle altre aziende pubbliche: un unico soggetto che gestisca, a livello regionale, visto che Roma attrae ogni giorno lavoratori e cittadini da tutto il Lazio, il trasporto su gomma e quello su ferro, con grandi investimenti, in particolare sulle metro. Con un occhio attento alla riorganizzazione di tutti i percorsi, che sono spesso troppo lunghi – alcune tratte arrivano anche a 20 km –, nei quali emergono profonde disuguaglianze tra centro e periferia, nei quali mancano spesso connessioni tra bus e metro, che soffrono a causa di un numero di mezzi inadeguato. A tutto questo si aggiunga che per i passeggeri c’è poca sicurezza rispetto al pericolo contagio da Covid, e che, a causa dei disservizi, i lavoratori sono spesso vittime di episodi di violenza. Insomma, per Atac manca un progetto, il Comune si è limitato a vivacchiare gestendo il concordato. Sarebbe troppo chiedere una strategia complessiva, investimenti per il futuro e sostenibilità economica?

E per Ama e la raccolta rifiuti?

Ama costa ai cittadini romani 700 milioni di euro l’anno. Una cifra che, nonostante l’importo notevole, viene consumata praticamente tutta in spesa corrente. Solo l’1 per cento di questi soldi viene impiegato in investimenti pluriennali. Eppure l’azienda manca di tutto: impianti, infrastrutture tipo isole ecologiche, officine, zone di deposito materiali e mezzi, flotte in numero adeguato per la raccolta, posizionamento intelligente dei cassonetti. Una lista alla quale aggiungiamo un ammanco di almeno mille persone, assunzioni previste da accordi firmati nel 2015 che, guarda caso, si stanno realizzando in queste ore, a pochi giorni dalle elezioni.

Cosa servirebbe, cosa proponete come Cgil, Cisl e Uil?

Non basta una buona amministrazione per Ama. Serve un soggetto nuovo. Se la capitale d’Italia deve vincere la sfida del futuro non basta fare sinergie con Acea e altri soggetti, che già aiuterebbe, ma bisognerebbe creare una multiutility che traguardi il tema dell’economia circolare, del riuso dei materiali come fonti rinnovabili di energia, della ricerca applicata al riutilizzo delle materie. L’Ama potrebbe diventare il volano di una nuova economia, un embrione per le università, le startup, i grandi player nazionali, al fine di sviluppare nuove tecnologie. Le parole chiave di un progetto del genere sarebbero “economia circolare”, “transizione verde”, “rifiuto come risorsa”, considerando un investimento pubblico di 700 milioni di euro pagati dalle tasse dei romani. La sfida è ambiziosa – ammette Natale Di Cola – ma l’idea è quella di progettare oggi impianti che non esistono, non di copiare ciò che a Milano, per fare un esempio, è stato creato ormai 20 anni fa.

Hai parlato di tre ambiti, Atac, Ama e… qual è il terzo? Quali le vostre proposte?

Oltre ad Atac e Ama ci sono altre trenta partecipate circa. Intanto è necessario normalizzarle: approvare i bilanci, i piani di sviluppo e di assunzione. Se il nuovo sindaco si limitasse a fare le cose ordinarie, però, resteremmo al palo. Anche qui mancano innovazione tecnologica e qualità del servizio. Ci sono troppi manager e troppi consigli di amministrazione. Bisognerebbe semplificare, diminuire il numero delle società, non escludendo che possa diventare una, unica, tipo Roma servizi per i cittadini, che al suo interno possa ricomprendere o fare da collante per tutte le altre. Semplificare unendo le filiere: ha senso avere due aziende in ambito culturale, tanto per fare un esempio? Occorrerebbe unire funzioni, fare sinergie quali una centrale unica per gli appalti, una centrale unica per gli acquisti, una gestione unica per la selezione del nuovo personale per evitare sistemi clientelari, promuovere una mobilità maggiore tra società, ma anche aumentare la massa, poter fare investimenti e avere un unico sistema tecnologico, di innovazione e rapporto di fruizione di servizi online. E poi intervenire sul deficit democratico: in tutte queste società che danno lavoro a 30mila persone direttamente, 50mila con gli appalti, con un volume di affari sopra i 3 miliardi annui, pagate con le tasse dei romani, non deve esserci mai più precarietà e si deve discutere della partecipazione dei cittadini su temi che riguardano scelte strategiche, legalità, qualità dei servizi. Perché la nuova società unica potrebbe essere il soggetto per reinternalizzare le attività e il personale che negli anni è stato dato ad aziende esterne, come l’appalto delle scuole che svolge la multiservizi, per fare un esempio.

Il ruolo pubblico per la gestione delle società è indispensabile e per questo serve maggiore partecipazione. È necessario che cittadini e sindacato possano prendere parte alle decisioni che riguardano le politiche di sviluppo di aziende che rappresentano il cuore pulsante della città.