Il 27 settembre del 2015 moriva a Roma Pietro Ingrao, 100 anni compiuti da poco, partigiano, a lungo direttore de l’Unità e presidente della Camera durante il rapimento Moro, una figura storica del Partito comunista italiano.

Scriveva Paolo Franchi sul Corriere della Sera in occasione del suo centesimo compleanno: “La Resistenza, la direzione dell’Unità, Botteghe Oscure, la Camera dei deputati, di cui sarà, tra il 1976 e il 1979, il primo presidente comunista, il Centro per la riforma dello Stato. Il cursus honorum del Pci Ingrao, amato dalla sua gente assai più che da gran parte dello stato maggiore del partito, dal quale lo ha diviso per sempre la battaglia “da sinistra” data (e persa) nel 1966, all’undicesimo congresso, lo farà tutto. A quel nome grande e terribile, comunismo, e a quel 'grumo di vissuto' rappresentato dalla vicenda storica dei comunisti italiani, resterà fedele fino e oltre il momento dell’ammainabandiera. Ma a modo suo. Che non è stato il modo di un movimentista (orrendo neologismo) o di un sognatore. Perché Ingrao guarda attento e curioso ai mutamenti che investono la società, il lavoro, l’economia, i movimenti collettivi. E anche il costume”.

“Pietro Ingrao è stato un protagonista davvero singolare della vicenda politica del Novecento - diceva poco dopo la sua scomparsa Niki Vendola - Attraversando i tornanti cruciali di un’epoca di ferro e di fuoco, la sua esistenza è stata come attratta irresistibilmente nel gorgo della grande storia, il suo cammino s’è fatto trincea e battaglia. La milizia politica è stata per lui e per un pezzo della sua generazione l’espressione naturale di un forte sentire morale, lo “stare eretti” dinanzi alla barbarie dei fascismi e della guerra. La sua inquietudine e curiosità e passione intellettuale è stata innanzitutto orientata - come tutti sanno dalla sua biografia - alla rappresentazione artistica, alla letteratura, al cinema: e cioè all’arte come strumento di incivilimento, come cognizione della bellezza (...) La “canzone” di Ingrao sarà denuncia civile, lotta clandestina, lo stare da un parte. Insomma: una scelta di vita”.

“Ingrao - gli faceva eco il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - è stato un leader importante nella nostra storia repubblicana. E’ stato presidente della Camera in un passaggio travagliato e difficile della vita del Paese. Non ha avuto paura di esplorare terreni nuovi, né di esprimere dissenso anche quando questo lo ha esposto a sacrifici sul piano personale. Nel difendere il proprio punto di vista ha tuttavia sempre cercato di assumere una visione nazionale e di tenere vivo il confronto con gli altri. La sua passione resterà un patrimonio del Paese e la sua libertà interiore è un esempio per le giovani generazioni”.

Volevo la luna - scriverà Andrea Di Nicola - il titolo del suo ultimo libro raccoglie e descrive in modo perfetto i 100 anni di vita di Pietro Ingrao. Rivoluzionario di professione, comunista, intellettuale dei più critici, poeta, appassionato di cinema, uomo delle istituzioni nei momenti peggiori della vita della Repubblica. O anche ‘eretico senza scisma’, secondo la definizione di Fausto Bertinotti. Pietro Ingrao è stato tutto questo e molto altro”.

Quasi centenario, il partigiano Guido aprirà un suo sito internet salutando i lettori con una poesia di Brecht.

“Cara lettrice, caro lettore - scriverà - internet non è un mezzo consueto, per chi è nato nel 1915; ma è il mezzo di comunicazione del presente, e ho pensato di usarlo. Sono un figlio dell’ultimo secolo dello scorso millennio: quel Novecento che ha prodotto gli orrori della bomba atomica e dello sterminio di massa, ma anche le speranze e le lotte di liberazione di milioni di esseri umani. Scriveva Bertolt Brecht: “Nelle città venni al tempo del disordine,  quando la fame regnava.  Tra gli uomini venni al tempo delle rivolte, e mi ribellai insieme a loro.” Il mondo è cambiato, ma il tempo delle rivolte non è sopito: rinasce ogni giorno sotto nuove forme. Decidi tu quanto lasciarti interrogare dalle rivolte e dalle passioni del mio tempo, quanto vorrai accantonare, quanto portare con te nel futuro. Buona esplorazione”.

“Abbiamo imparato - affermava lo storico dirigente del Pci a proposito di quel Partito comunista che quest’anno compie 100 anni - anche dagli altri, abbiamo capito, abbiamo corretto? Certo. E molto. Evviva: siamo stati un corpo vivente. Abbiamo avuto anche lentezze e ritardi: errori anche pesanti. Abbiamo faticato a liberarci dal 'sovversivismo'. Forse perché nascevamo da gente che da tempo, da troppo tempo, era stata tenuta in ginocchio. E come potremmo scordare che ad aiutarci, a farci alzare in piedi, sono stati questi, Gramsci, Togliatti, Di Vittorio? No, non erano santi: nemmeno Gramsci”.

No, non erano santi, ma ci mancano, Pietro e ci manchi anche tu. Perché su troppe cose non siamo ancora persuasi, perché in fonda la luna la vogliamo ancora.