Sabato a Roma scendiamo in piazza per la manifestazione lanciata dall’Assemblea della Magnolia sotto lo slogan Tull Quadze che in pashtu – lingua afghana e pakistana - significa Tutte le donne per esprimere vicinanza e solidarietà alle donne afghane. Cacciate dai posti di lavoro, rinchiuse in casa e sotto scrigni scuri, allontanate dalle scuole e dalla vita pubblica sono proprio le donne a pagare il prezzo più alto al disastro Afghanistan. Esattamente come nella pandemia sono state le donne a pagare, in termini professionali e di arretramento nei diritti, un conto altissimo. Analisi e considerazioni che hanno spinto l’Assemblea a chiedere un radicale cambiamento di paradigma passando dallo sfruttare il mondo al prendersi cura del mondo, delle persone e della terra in cui viviamo invece di perseguire esclusivamente profitto e dominio.

Così il primo claim per la manifestazione è stato proprio “La Rivoluzione della cura”: cura dell’ambiente, delle relazioni, dell’occupazione, della salute, dei diritti. Cura come attenzione alla sopravvivenza e al futuro che le donne portano nei gesti e nelle idee, e nelle politiche.

L’assemblea della Magnolia – un gruppo eterogeneo di associazioni, sindacati e personalità della politica e dell’impegno civile - con questa manifestazione chiede che le ingenti risorse del Pnrr vengano spese guardando anche alle donne e alle loro problematiche. Non bastano gli enunciati: servono i fatti. Appena ieri, l’Ispettorato nazionale del lavoro ha diffuso i dati relativi alle dimissioni consensuali dei genitori di figi 0-3 anni. Il quadro complessivo della Relazione ci ha restituito ancora una volta un Paese che non supporta le famiglie con figli piccoli, un problema che nel 77% dei casi - che nel Mezzogiorno d’Italia sale al 93%-, si traduce con le dimissioni volontarie della lavoratrice. I dati della Relazione dicono anche che in presenza di figli l’occupazione maschile aumenta mentre quella femminile diminuisce. A questo problema grave il Pnrr non dà risposte. I mancati investimenti nelle infrastrutture sociali alle quali, anche in questa partita, sono state preferite le infrastrutture materiali secondo i canoni delle più tradizionali politiche seguite nel nostro Paese, hanno come inevitabile effetto l’emarginazione femminile dal lavoro e la scelta della denatalità. Non è un caso che in Europa, l’Italia abbia uno dei tassi di occupazione femminile più bassi, il penultimo, di oltre tredici punti percentuali sotto la media con un gap che Mezzogiorno supera 25 punti.

Rimettere al centro la cura, come chiederemo sabato, comporta riallineare gli obiettivi, i tempi, gli strumenti. Significa chiedere la fine della precarietà del lavoro, rafforzare la rete dei servizi sanitari e sociali pubblici, ricostruire e trasformare il sostegno e l’assistenza per gli anziani, investire sulla scuola accrescendo il numero degli insegnanti, delle classi, degli strumenti a disposizione dei ragazzi, di avviare un grande progetto di manutenzione del territorio e delle nostre città, di mettere al centro le persone. Significa rileggere tutta la nostra società a partire dai bisogni e dalla libertà che le donne si sono conquistate e che hanno aumentato la libertà e il benessere di tutti.

Esmeralda Rizzi, Politiche di genere Cgil