La notizia dell’arresto di Benito Mussolini e della formazione del governo Badoglio il 25 luglio 1943 viene accolta in tutt’Italia con manifestazioni di giubilo. Il Paese scende in piazza divellendo e i simboli del vecchio regime e inneggiando alla democrazia e alla pace. Anche a Reggio Emilia gli operai delle Reggiane accolgono la notizia della caduta del fascismo con una manifestazione che rivendica la fine della guerra. Il 28 mattina aprono i cancelli della fabbrica per marciare verso il centro della città, ma un reparto di militari appostato lì davanti li fronteggia e spara, uccidendo nove persone (tra di esse anche una donna incinta) e ferendone una trentina.

“Quel giorno c’ero anch’io - ricordava Fernando Cavazzini - E da quel giorno sono diventato una persona diversa. Avevo vent’anni e una grande voglia di lavorare, prima di quella giornata che a qualcuno ha rubato la vita, ad altri l’ha cambiata per sempre. Io ho deciso che sarei entrato nelle fila dei partigiani. Lo sentivo come un dovere. Così l’8 marzo me ne sono andato in montagna insieme ad altri 27 partigiani. Tra i monti, nome di battaglia Tony, sono rimasto 14 mesi, fino al 25 aprile 1945, quando con la mia squadra - i sabotatori “Demonio” - ho aperto l’ingresso dei partigiani in città”.

Nei giorni immediatamente successivi alla caduta del fascismo l’ordine pubblico in Italia sarà mantenuto al prezzo di decine di morti, centinaia di feriti, migliaia di arresti. Nella stessa giornata dell’eccidio delle Reggiane l’esercito compirà un’altra strage di civili a Bari: almeno 20 saranno i morti (tra questi Graziano, il figlio più giovane di Tommaso Fiore) ed oltre sessanta i feriti fra studenti, insegnati ed operai che chiedevano la liberazione dei detenuti politici e la rimozione dei simboli del regime ancora in mostra.

Veniva così data letterale e spietata esecuzione alla circolare emanata due giorni prima dal gen. Mario Roatta, nominato capo di Stato maggiore dell’esercito dal governo Badoglio.

Presi gli ordini dal Comando Supremo - vi si legge - comunico et dispongo:

1) nella situazione attuale, col nemico che preme, qualunque perturbamento dell'or­dine pubblico anche minimo, et di qual­siasi tinta, costituisce tradimento et può condurre ove non represso ai conseguenze gravissime; qualunque pietà et qualunque riguardo nella repressione sarebbe pertan­to delitto;

2) poco sangue versato inizialmente rispar­mia fiumi di sangue in seguito. Perciò ogni movimento deve essere inesorabil­mente stroncato in origine;

3) siano assolutamente abbandonati i sistemi antidiluviani quali i cordoni, gli squilli, le intimazioni et la persuasione et non sia tollerato che i civili sostino presso le trup­pe intorno alle armi in postazione;

4) i reparti devono assumere et mantenere . grinta dura et atteggiamento estre­mamente risoluto. Quando impiegati in servizio di ordine pubblico, in sosta aut in movimento, abbiano il fucile ai pronti et non a bracciarm;

5) muovendo, contro gruppi di individui che perturbino ordine aut non si attengano pre­scrizioni autorità militare, si proceda in formazione di combattimento et si apra fuoco a distanza, anche con mortai et arti­glieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche. Mede­simo procedimento venga usato da reparti in posizione contro gruppi di individui avanzanti;

6) non est ammesso il tiro in aria; si tira sem­pre a colpire come in combattimento

7) massimo rigore nel controllo et attuazione di tutte le misure stabilite da noto manife­sto. Apertura immediata del fuoco contro automezzi che non si fermino all'intima­zione;

8) i caporioni ed istigatori dei disordini, rico­nosciuti come tali siano senz'altro fucilati se presi sul fatto, altrimenti siano giudicati immediatamente dal Tribunale di guerra sedente in veste di Tribunale straordinario;

9) chiunque, anche isolatamente compia atti di violenza et ribellione contro le forze ar­mate et di polizia aut insulti le stesse e le istituzioni venga passato immediatamente per le armi;.

10) il militare che, impiegato in servizio ordi­ne pubblico compia il minimo gesto di so­lidarietà con i perturbatori dell'ordine, aut si ribelli, aut non obbedisca agli ordini, aut vilipenda superiori et istituzioni, venga immediatamente passato per le armi;

11) il comandante di qualsiasi grado che non si regoli secondo gli ordini di cui sopra, venga immediatamente deferito al Tribu­nale di guerra competente che siederà e giudicherà nel termine di non oltre venti­quattrore. Confido che i Comandanti  - consci della gravità dell'ora e che da falsa pietà, lentezza et irresolutezza, potrebbe derivare la rovina della patria - daranno e faranno dare la più ampia esecuzione a quanto sopra disposto. Si tratta di imporsi subito con rigore inflessibile. Roatta.

“La monarchia - scriverà a guerra finita l’antifascista Fabrizio Canfora che aveva preso parte al corteo e che era rimasto ferito dai colpi esplosi - voleva, rimuovendo Mussolini, scagionarsi dalle proprie responsabilità e, come fosse stato un suo innocente errore, riprendere la strada di venti e più anni prima e rinserrare il Paese nella sua ossatura statale paternalistica e conservatrice”.