Il 20 luglio del 1889 il Congresso costitutivo della Seconda internazionale, riunito a Parigi, decide l’organizzazione di una grande manifestazione che “sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi”.

La festa, ratificata ufficialmente a Bruxelles nell’agosto 1891 (II Congresso dell’internazionale), è osservata e praticata già nel 1890 con manifestazioni a livello nazionale e locale. Recita un volantino, diffuso a Napoli in occasione del Primo maggio 1890: “Lavoratori, Ricordatevi il 1.° maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la Rivoluzione sociale! Viva l’Internazionale!”.

“Oggi il proletariato d’Europa e d’America passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito - scriveva il Primo maggio 1980 da Londra Friedrich Engels - sotto una sola bandiera, per un solo fine prossimo, la giornata lavorativa normale di 8 ore, proclamata già nel congresso di Ginevra dell’Internazionale del 1866 e di nuovo nel Congresso operaio di Parigi nel 1889 da introdursi per legge. Oggi i proletari di tutti i paesi si sono effettivamente uniti. Fosse Marx accanto a me a vederlo coi suoi occhi!”.

In Italia il fascismo abolisce nel 1923 (R.D.L. 19 aprile 1923, n. 833 in G.U. 20 aprile 1923, n. 93, p. 3190) la ricorrenza, preferendo una autarchica Festa del lavoro italiano il 21 aprile in coincidenza con il Natale di Roma.

“Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia - recita la legge - vista la legge 23 giugno 1874, n.1968; vista la legge 19 giugno 1913, n.630; udito il Consiglio dei ministri; sulla proposta del presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Interno, di concerto con il ministro della Giustizia e degli affari di culto; abbiamo decretato e decretiamo: il 21 aprile, giorno commemorativo della fondazione di Roma, è destinato alla  celebrazione del lavoro ed è considerato festivo, eccetto che per gli uffici giudiziari. È soppressa la festa di fatto del 1° maggio e tutte le pattuizioni intervenute tra industriali ed operai per la giornata di vacanza in tal giorno dovranno essere applicate pel 21 aprile e non pel 1° maggio. Il presente decreto entra in vigore oggi e sarà presentato al Parlamento per essere convertito in legge. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Roma, addì 19 aprile 1923”.

Con queste parole, Mussolini giustificava la sua decisione: “La grande guerra, che ha valorizzato ogni manifestazione di attività, ha sviluppato anche in tutte le classi una più profonda coscienza delle energie e del lavoro individuale. Celebrare, in un giorno all’anno, queste energie e questo lavoro è sprone ad una più fervida, proficua attività collettiva e nazionale; ed è bene che ciò sia formalmente riconosciuto in una legge dello Stato. E perché la celebrazione si ricongiunga ai ricordi della nostra storia e del genio della stirpe, il Governo ha voluto farla coincidere con la data del 21 aprile: la fondazione di Roma, data immortale da cui ha inizio il lungo, faticoso, glorioso cammino dell’Italia”.

Ma il Primo maggio mantiene e anzi rafforza la sua carica “sovversiva”, divenendo occasione per esprimere in forme diverse la fedeltà a un’idea. Quell’idea che, attraverso la Resistenza, porterà il Paese alla Liberazione il 25 aprile 1945. Il Primo maggio di quell’anno, giovani che non hanno memoria della Festa del lavoro e anziani si ritrovano, insieme, nelle piazze di tutta Italia.

Piazza del Popolo, ricorderà Anita Contini, moglie di Giuseppe Di Vittorio, “non fu mai così bella, mi sembra, come quella mattina di sole: lunghi cortei di lavoratori, le bandiere bianche, rosse e tricolori alte nel vento, giungevano da ogni quartiere della città, accompagnati dalle bande dei tranvieri e dei ferrovieri. C’era anche, ricordo, la banda di Madonna della Strada che avanzava tra grandi applausi, preceduta da un’immagine religiosa. Tutti portavano abiti lisi e i volti apparivano segnati dalle lunghe privazioni, e tuttavia una intima gioia, una fiducia in sé, uno slancio di speranza, sembrava animare e spingere la folla. Risuonavano i canti e grida di evviva. Gruppi di giovani, seduti per terra in cerchio, cantavano inni partigiani. Le ragazze distribuivano coccarde tricolori e garofani rossi”.

L’Italia del lavoro, rinata a nuova vita dopo venti anni di dittatura e violenza, tornava a festeggiare la sua festa più bella.