"Coraggio, coerenza, onestà. Sono questi i valori che Giorgio Almirante ci ha lasciato in eredità e che dobbiamo onorare ogni giorno. 
A 33 anni dalla sua scomparsa, la Destra italiana ricorda un grande politico e Uomo", scriveva questa mattina Giorgia Meloni su facebook. Giorgia, cara, ma sei davvero certa sia proprio così?

Giorgio Almirante inizia giovane a lavorare come giornalista de La difesa della Razza. “Il razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l’Italia abbia mai tentato. Chi teme ancor oggi che si tratti di un’imitazione straniera non si accorge di ragionare per assurdo: perché è veramente assurdo sospettare che il movimento inteso a dare agli italiani una coscienza di razza (…) possa servire ad un asservimento ad una potenza straniera”, scriveva nel 1938.  

“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”, sancisce candidamente il giornale di cui è redattore il 5 agosto 1938 ripubblicando il Manifesto della razza (o Manifesto degli scienziati razzisti).

Nel maggio 1942 Giorgio ribadisce il concetto:

Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza. Il razzismo nostro deve essere quello del sangue, che scorre nelle mie vene, che io sento rifluire in me, e posso vedere, analizzare e confrontare col sangue degli altri. Il razzismo nostro deve essere quello della carne e dei muscoli; e dello spirito, sì, ma in quanto alberga in questi determinati corpi, i quali vivono in questo determinato Paese; non di uno spirito vagolante tra le ombre incerte d'una tradizione molteplice o di un universalismo fittizio e ingannatore. Altrimenti finiremo per fare il gioco dei meticci e degli ebrei; degli ebrei che, come hanno potuto in troppi casi cambiar nome e confondersi con noi, così potranno, ancor più facilmente e senza neppure il bisogno di pratiche dispendiose e laboriose, fingere un mutamento di spirito e dirsi più italiani di noi, e simulare di esserlo, e riuscire a passare per tali. Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all'ebraismo: l’attestato del sangue.

Nel 1943 aderisce alla Repubblica di Salò e l’anno successivo viene nominato capo di gabinetto del Ministero della propaganda. In questa veste firmerà “il manifesto della morte” distribuito nella provincia di Grosseto, in cui viene intimato agli sbandati dell’esercito italiano di arrendersi e consegnare le armi alle milizie fasciste o all’esercito tedesco, pena la fucilazione. 

“La parola fascista ce l’ho scritta in fronte”, dirà molti anni dopo in un’intervista. Sempre critico sulla democrazia (“Democratico è un aggettivo che non mi convince”) non prenderà mai le distanze dagli altri regimi autoritari europei e si esprimerà a favore del golpe di Augusto Pinochet in Cile e della “rivoluzione argentina” dei militari del 1976. In merito alla dittatura militare greca dirà in un’intervista che i colonnelli avevano salvato il Paese mediterraneo e la Nato dal comunismo e che l’estrema sinistra era un pericolo ovunque questa si palesava.

Che dirti Giorgia - non è la prima volta che te lo diciamo - ma noi abbiamo un’idea di 'coraggio, coerenza, onestà' un tantinello diversa. E nell'anniversario della nascita di Giacomo Matteotti ci piace ricordare che siamo un’altra storia e di questo siamo fieri.