Sono anni che, nelle forme più diverse, gruppi di quell’universo neofascista che abbiamo definito "galassia nera" si rendono protagonisti dei più svariati atti di violenza. Nel mirino c’è oggi il migrante, domani lo studente politicizzato, dopodomani l’omosessuale, e poi ancora chiunque, come quando, in margine a pacifiche manifestazioni svoltesi nelle scorse settimane, gli squadristi del nuovo millennio hanno devastato e incendiato. Il punto è che la violenza come arma di lotta politica e sociale è sempre stata il necessario portato pratico di ogni fascismo. In due parole, non tutte le violenze sono riconducibili al fascismo, ma tutti i fascismi sono riconducibili alla violenza.

Basterebbe questo per capire la lungimiranza di Giacomo Matteotti quando affermò che “il fascismo non è un’opinione come le altre, è un crimine”. Poco tempo dopo fu assassinato da una squadraccia. Una sorta di profezia che si autoavvera. Anche per questo da anni, assieme a un vastissimo fronte sociale e politico, chiediamo che le organizzazioni neofasciste vengano permanentemente messe nell’impossibilità di nuocere. A questo proposito l’Anpi lo scorso anno presentò alla Procura di Roma un esposto che rivelava non solo l’elevatissimo numero di atti di violenza dei neofascisti, ma anche la loro contiguità.

Ciononostante, sembra che ci si trovi davanti a un muro di gomma: lo stabile occupato da Casapound e utilizzato come sede nazionale e come residenza, a Roma, rimane occupato nonostante una sentenza di sgombero; ad Ostia è ancora nelle mani degli squadristi un complesso edilizio di proprietà del ministero della Difesa, acquisito con un colpo di mano degno della migliore confraternita della vigliaccheria, visto che è stato occupato nottetempo durante il lockdown di marzo.

La crisi sanitaria e sociale è pesante. Colpisce dal punto di vista economico l’intero mondo del lavoro, creando un diffusissimo malessere, in particolare in alcuni suoi settori. Sorge così, in un Paese già colpito dalla precedente crisi avviatasi nel 2008, un'inedita qualità della questione sociale, illuminando un’Italia dei mille mestieri di un ceto medio basso o semplicemente basso, popolare, spesso disperso, che si arrangia con professionalità più o meno riconosciute e che corre il rischio di essere decimato dagli effetti delle limitazioni previste dai vari decreti. È, in sostanza, l’Italia delle periferie la più colpita. Per questo dev’essere la più tutelata.

Non è un caso che le squadracce nelle scorse settimane abbiano cercato con i loro atti di violenza di far saltare la polveriera sociale. Il tentativo è naufragato. Ma il rischio di un corto circuito sociale e democratico permane, anche a causa dell’imprevedibilità dell’espansione del virus e dei conseguenti provvedimenti governativi. Il problema non riguarda solo il ministero dell’Interno, ma tutto il governo. Non solo: il vastissimo mondo dell’associazionismo, del volontariato, dei sindacati può fare molto per sventare qualsiasi deriva violenta e antidemocratica. Ma il primo, comune obiettivo, dev’essere quello di sostenere in ogni modo e a ogni costo un popolo due volte colpito: dalla pandemia e dalla crisi economica.

Gianfranco Pagliarulo è presidente nazionale Anpi